L'immaginazione guidata come strumento per la formazione e l'apprendimento nell'età evolutiva

Tesi di Laurea di Ornella Cassandri, 2002

Premessa

Le fantasie che continuamente accompagnano il nostro stato di veglia sfuggono in grandissima parte alla nostra coscienza; il pensiero intenzionale, guidato dalla nostra mente, occupa all’interno dell’attività cerebrale una parte inferiore a quella che saremmo portati a credere.

Le immagini, e le sensazioni ad esse collegate, che si susseguono al nostro interno, hanno però su di noi un effetto non minore del pensiero razionale. Una tale affermazione, pur nella sua ovvietà e banalità, suggerisce di non ignorare, comunque, che la carenza di consapevolezza del proprio immaginario ha un riscontro notevole sullo sviluppo, il comportamento e la qualità della vita dell'individuo.

Quante volte, cambiando d’umore apparentemente senza motivo, ci si affretta a cercarne la causa in qualche evento esterno, un contrattempo, un malessere, quando invece lo si dovrebbe cercare all’interno della propria mente, dove l’incessante e inconsapevole associazione di immagini che vi ha luogo ha messo forse in luce un tema che preoccupa o intristisce.

Prendere coscienza delle immagini che animano la propria mente, oltre a mettere l'individuo più profondamente in comunicazione con se stesso, può permettergli di porre tale attività al servizio delle proprie necessità, per l’ottenimento di obiettivi concreti.

Come possiamo facilmente verificare, le immagini orientano fortemente le nostre azioni. L’esempio più banale può essere preso in prestito dal mondo della pubblicità, dove l’identificazione con certe immagini fa sorgere l’impulso ad acquistare, ma comunque tutto l’ambito delle comunicazioni di massa può fornire esempi della capacità delle immagini di orientare il comportamento. Questa dinamica si estende poi molto più complessamente quando ci si riferisce all’immagine del mondo di un individuo, che guida inconsciamente gran parte delle sue scelte, la “Weltanschauung” che informa sottilmente il suo modo di percepire gli eventi e quindi di reagire ad essi. Per non parlare poi dell’immagine di sé che ognuno proietta nella sua vita spesso fino a farne una predizione autoverificante.

 Le immagini sono un motore potente di cui però spesso non si conosce abbastanza il funzionamento e uno strumento importante di autoconoscenza e di miglioramento sfugge così dalle proprie mani.

Il presente elaborato intende portare un contributo in questa direzione indagando sulle possibilità di introdurre un utilizzo consapevole della propria immaginazione già nell’età evolutiva, con bambini e adolescenti quindi, ed in ambito scolastico.

Si è individuata a tale scopo la tecnica dell’immaginazione guidata come strumento per accompagnare i bambini e i ragazzi alla scoperta delle possibilità della propria fantasia. Tale tecnica ha evidenziato, nelle esperienze già effettuate, notevoli risultati sia sui bambini che sui ragazzi, sia dal punto di vista più strettamente scolastico, con aumento della capacità di concentrazione, dei livelli di attenzione e quindi dell’apprendimento e della ritenzione delle nozioni, sia anche dal punto di vista comportamentale e relazionale, con una maggiore empatia fra gli alunni della classe, l’aumento dell’autostima, la diminuzione dell’aggressività e delle tensioni interpersonali.

Nonostante varie ricerche in ambiti didattici, non è stato possibile venire a conoscenza di esperienze di questo tipo in Italia, tranne il caso della professoressa Maria Assunta Cempella, la quale ha utilizzato l’immaginazione guidata con alcuni alunni della scuola media per migliorare le loro capacità di apprendimento e relazione. Uno degli incontri relativi a questa esperienza è stato riportato abbastanza dettagliatamente per offrire un primo esempio concreto della tecnica.

Si sono riportate poi le esperienze di cui si ha conoscenza in Gran Bretagna e negli Stati Uniti che, essendo più numerose, offrono anche maggiore spunto per analizzare i procedimenti, fare osservazioni e trarre valutazioni.

Si è ritenuto anche opportuno fornire una panoramica dell’uso del linguaggio dell’immaginario in sogni, miti e fiabe, con particolare approfondimento riguardo all’uso della metafora come chiave di volta di tutta questa modalità comunicativa e in generale del linguaggio analogico come espressione preferenziale dell'emisfero destro del cervello.

Si è aggiunto anche un breve resoconto sull’uso terapeutico della metafora e dell'immaginazione guidata per fornire un quadro più completo delle potenzialità della tecnica anche in ambiti che esulano da quello didattico-formativo.

 A completare l'inquadramento della tematica, si è presa in considerazione l'immaginazione guidata nell'ottica della pluralità dell'intelligenza e in quella di una possibile pedagogia degli affetti e della conseguente relazione insegnante-alunno.

Conclude l’elaborato il resoconto di una esperienza di immaginazione guidata con alunni di una quarta elementare svolta dalla sottoscritta e tesa a valutare la validità o meno di questa tecnica ed individuarne le possibilità di utilizzo in campo didattico e formativo.

Data la molteplicità di tematiche che questa ipotesi offre alla riflessione e la quantità di interrogativi che le sono connessi, il presente elaborato non pretende di essere minimamente esaustivo dell'argomento, si pone bensì l'obiettivo di costituire la base per una eventuale più approfondita analisi sulle possibilità dell'introduzione di un uso consapevole della fantasia.

CAPITOLO I

Le esperienze di fantasia guidata nella classe: descrizione, analisi del procedimento, osservazioni e valutazione.

Il metodo consiste in un’attività nella quale, dopo un breve rilassamento, viene letto agli alunni un brano che ha lo scopo di fungere da traccia per la loro fantasia, fornendo solo spunti e indicazioni. All’interno di questa cornice, gli alunni sono liberi di esplorare il mondo del loro immaginario personale e, terminata l’esperienza, sono incoraggiati a comunicare tale unicità agli altri attraverso varie modalità espressive, secondo la loro preferenza.

Per esemplificare la tecnica, possiamo descrivere l’esperienza della prof.ssa Maria Grazia Cempella, insegnante e psicopedagogista, che ha usato alcune tecniche di immaginazione guidata nell’ambito di un intervento nella scuola media statale di Santa Maria delle Mole, alla periferia di Roma.

Erano state individuate problematiche di relazione e comunicazione in alcuni ragazzi tra gli undici e i quattordici anni all’interno di differenti classi della scuola, a questi alunni era stato rivolto l’invito a partecipare ad una serie di cinque incontri al di fuori dell’orario scolastico, per ampliare la propria capacità di comunicare e relazionarsi.

La professoressa Cempella riferisce che al primo incontro erano presenti una decina di ragazzi che non si conoscevano tra loro, molto tesi e preoccupati che il tutto si risolvesse in una qualche prova che avrebbe evidenziato le loro difficoltà, la professoressa decise quindi di proporre loro un rilassamento, li invitò a sedersi comodi, chiudere gli occhi se volevano e seguire le immagini che avrebbe suggerito.

Non si verificarono molte resistenze e l’insegnante cominciò a leggere il testo scelto per il primo incontro.

Fate tre respiri profondi e lasciate che il vostro corpo si rilassi… lasciate uscire la tensione… pensate a un luogo che considerate bellissimo… potrebbe essere in montagna o al mare, un qualsiasi luogo che vi piaccia… potrebbe essere un luogo che già conoscete o un luogo immaginario che vorreste visitare… assicuratevi che sia un luogo nel quale vi potete rilassare… ora immaginate di trovarvi in questo luogo di mattina presto, prima che sorga il sole… cercate di essere consapevoli di come vi sentite in questo momento… osservate la luminosità del cielo e il paesaggio intorno a voi… che rumori sentite all’inizio del giorno?… il tempo passa e vi rendete conto che il sole è alto nel cielo, che è mezzogiorno… cercate di percepire la temperatura dell’aria che vi accarezza le pelle… cosa state facendo ora?… assorbite in voi i suoni, i colori, le visioni, i sapori… siate coscienti del vostro corpo e di come vi sentite… immaginate ora che il tempo sia trascorso e che si avvicini la sera… le ombre si fanno più lunghe, i colori in cielo si trasformano, il paesaggio assume un aspetto differente… come vi sentite?… il sole sembra ingrandirsi man mano che si avvicina all’orizzonte… quando l’oscurità comincia a scendere, rendetevi conto che è il momento di abbandonare questo bellissimo luogo… sapete però che potete portare con voi nell’aula il senso di pace e di rilassamento che vi ha ispirato… fate un respiro profondo e tornate dolcemente in aula.

Al termine i ragazzi sembravano molto sereni, aderirono con entusiasmo all’invito dell’insegnante a disegnare, se volevano, quello che avevano immaginato, e commentarono poi a lungo l’esperienza l’uno con l’altro.

I quattro incontri successivi si svolsero in modo analogo, le immagini suggerite riguardarono anche l’incontro con un amico immaginario, il rapporto col proprio corpo e lo sviluppo della creatività.

Al termine dei cinque incontri i ragazzi erano molto affiatati, si esprimevano con maggiore scioltezza e sicurezza anche su argomenti personali, si integrarono meglio all’interno delle classi e in alcuni si notò un miglioramento nell’apprendimento.

Questo è evidentemente solo un limitatissimo esempio delle possibilità che la tecnica offre. Il rilassamento, lo stabilire un clima di serenità e di fiducia, dando la sensazione di poter sperimentare liberamente la propria fantasia, è solo l’inizio di un percorso che può coinvolgere tematiche di grande importanza nell’età evolutiva: l’amicizia, l’immagine di sé, i propri timori, il rapporto con il corpo, la proiezione verso il futuro. Tutti argomenti che si possono affrontare così con estrema delicatezza, con una discrezione e una libertà che permettono al bambino o all’adolescente di avvicinarsi a temi tanto profondi senza mettere in atto resistenze, con apertura e disponibilità a vedere, sentire e riconoscere ciò che lo anima nel profondo, a prendere contatto con le proprie emozioni e ad esternarle nella maniera più adeguata.

Purtroppo la prof.ssa Cempella non ha potuto fornire ulteriori informazioni e materiali sulla sua esperienza, che risale infatti a qualche anno fa, quindi la maggior parte dei dati sull’uso della fantasia guidata nelle classi sono attinte dal testo “Apprendere la fantasia”, frutto dell’esperienza quindicennale di tre docenti della School of Education presso la Nottingham University , Eric Hall, Carol Hall e Alison Leech, e dal testo “L’immaginazione guidata con i bambini e gli adolescenti. Esercizi e tecniche per l’apprendimento, la creatività e il rilassamento” di Maureen Murdock, frutto dell’esperienza dell’autrice nelle scuole di Los Angeles e della Columbia Britannica.

 Gli autori del testo “Apprendere la fantasia” hanno guidato un gruppo di insegnanti all’introduzione della fantasia guidata in classi di livelli scolastici diversi, dalle materne alle superiori. Nel loro libro ogni fase dell’esperienza è analizzata dettagliatamente, vengono esposte le problematiche sorte durante tutto il corso della sperimentazione e ne sono raccolti risultati e valutazioni finali.

La tecnica viene suddivisa in cinque fasi: preparazione, rilassamento, lettura del testo, rielaborazione e discussione di gruppo.

Per quanto riguarda la fase introduttiva si suggerisce di preparare i ragazzi all’esperienza che verrà loro proposta con una breve esposizione di modi, tempi e obiettivi dell’attività in modo che possano anche scegliere se partecipare o meno. È importante, visto che la proposta all’interno dell’orario scolastico è recepita come insolita, essere preparati alle reazioni emotive di difesa dei ragazzi, agitazione, sghignazzi, interruzioni, e chiarire bene e con molta calma che nessuno è obbligato a partecipare ma che chi resta non deve disturbare il lavoro. Il tenere gli occhi aperti o chiusi può costituire un ulteriore problema ma bisogna essere molto elastici e non forzare a fare l’esperienza ad occhi chiusi se per i ragazzi ciò è motivo di tensione. Un utile escamotage è suggerito da Oaklander[1] con l'uso della frase “Potete tenere gli occhi un po’ aperti, se volete”, una espressione paradossale basata sul cosiddetto “doppio legame”: se i ragazzi fanno il contrario è persino meglio, se si attengono al suggerimento è comunque ciò che si voleva ottenere.

Dalle esperienze riportate emerge anche l’importanza dell’ambiente, che dovrebbe essere tranquillo e silenzioso, magari con cuscini e tappeti per sedersi in terra ma, data l’ovvia difficoltà a reperire un tale spazio nelle scuole, si può comunque usare la solita aula, anche solo abbassando un po’ le persiane, per creare un’atmosfera più rilassante ed evitare che ci si distragga col paesaggio fuori delle finestre.

È preferibile preparare i materiali successivamente necessari, come fogli, matite colorate, ecc. in modo che i ragazzi non debbano deconcentrarsi troppo tra la fantasia e la fase di rielaborazione. È bene suggerire una posizione comoda ma non troppo distesa, quella seduta con il busto eretto sembra risultare la migliore, in modo da non essere disturbati da eccessive tensioni ma neanche cadere in un livello di dormiveglia troppo profondo.

Quando i ragazzi sono seduti e tranquilli si può iniziare con un rilassamento che sarà loro suggerito dall’insegnante con delle frasi del tipo:

cercate di essere coscienti della vostra posizione sulla sedia… È probabile che alcune parti del vostro corpo siano in tensione…Cercate di verificare se è così… Ora vi darò indicazioni su come rilassarvi meglio e vi prego di seguirle… Stringete bene i pugni… Bene, allentate la stretta… adesso piegate verso l'interno le dita dei piedi… riportatele ora nella posizione normale e rilassatevi… curvate le spalle finché sono all'altezza delle orecchie… quando le riportate nella posizione normale rilassate anche il collo… prendete coscienza di come vi sentite ora nel vostro corpo…[2] 

Questa fase potrà prendere un tempo più lungo le prime volte, ma in seguito i ragazzi saranno abituati a rilassarsi e i tempi si potranno ridurre.

Se i ragazzi devono essere preparati all'esperienza, non di meno lo deve essere l'insegnante. Innanzitutto è consigliabile leggere il brano a casa in modo da provare il timbro di voce e il ritmo più adatti, preparare in anticipo il tipo di rielaborazione che si vuole suggerire, fare anche eventualmente una prova di rilassamento con un'altra persona per non improvvisare eccessivamente.

Al di là di ciò che può essere la preparazione ”tecnica” è opportuno anche chiarire gli obiettivi che si vogliono raggiungere o le possibilità che si vogliono sondare con l’introduzione della fantasia guidata nella classe. Ancora più importante sarà prepararsi emotivamente a quella che può essere un'esperienza nuova, che crea inevitabilmente una certa ansia, soprattutto perché l’insegnante dovrà “mettersi in gioco” e stare allo scoperto emotivamente molto di più che nel normale corso delle lezioni. Può comunque essere interessante prendere in considerazione che questo tipo di coinvolgimento emotivo, pur significando un ulteriore impegno per l'insegnante, può anche offrire nuove opportunità nello sviluppo della relazione insegnante-alunno (cfr. cap. 4).

Per quanto riguarda i testi da proporre è evidente che questi sono praticamente infiniti e limitati solo dalla fantasia e dalla sensibilità di chi li elaborerà. Si può ricavare una certa esperienza usando testi già pronti e poi, in base alla propria conoscenza della classe, creare testi ad hoc che saranno sicuramente più in sintonia con gli alunni.

Un vasto repertorio è offerto dal già citato “Apprendere la fantasia”, che comprende 56 scripts elaborati dagli insegnanti della Nottingham University oppure dal testo “L’immaginazione guidata con i bambini e gli adolescenti” di M. Murdock, nel quale sono 33 i testi che l’autrice ha elaborato e utilizzato in varie occasioni.

La caratteristica comune a tutti i testi è il linguaggio semplice e diretto, adeguato ad una facile comprensione ed a una altrettanto semplice identificazione. Il linguaggio è quello cosiddetto analogico-metaforico per facilitare ai ragazzi la percezione delle proprie emozioni e per lasciare loro il più ampio spazio di interpretazione, lo schema narrativo è molto elastico, in modo da permettere l’inserimento di immagini e situazioni il più possibile personali.

Le tematiche affrontate possono essere le più disparate, ci sono, per esempio, testi introduttivi alla tecnica, adatti a sviluppare la capacità di immaginazione, questi spesso sono basati sull’attenzione ai dati sensoriali in modo da stimolare la produzione di immagini più “globali”, fatte sia di sensazioni fisiche che di aspetti emotivi. Tale tipo di esercizi sono particolarmente importanti per la Murdock che afferma: “Prestare attenzione alle immagini può bloccare il normale pensiero razionale e sviluppare l’immaginario personale. Ciascuno dei due processi pare infatti inibire l’altro.[3] Testi di questo tipo sono, ad esempio, “Correre liberi” oppure “Il mare”[4].

Altri scripts possono essere sul tema del viaggio, una metafora utile a rivedere la propria vita come una esplorazione interiore; si può suggerire un volo su un tappeto magico o in mongolfiera, l’esplorazione di una soffitta, la risalita del corso di un fiume o la scalata di una montagna e in ogni caso l’alunno potrà inserire il suo personale vissuto, rielaborato con la propria fantasia.

Visto che la fascia d’età interessata è tra i cinque e i diciotto anni circa, i testi che hanno la crescita come tema centrale possono essere di grande efficacia per dare consapevolezza, soprattutto agli adolescenti, dei bruschi cambiamenti che la loro età impone.

L’uso della fantasia guidata fornisce agli alunni la possibilità di armonizzarsi con il processo che si svolge nel loro corpo e nella loro mente. Può fornire loro l’opportunità di concettualizzare e verbalizzare pensieri e sentimenti sullo sviluppo e di poterli condividere con i coetanei [...] Le immagini della crescita possono venire lette come metafora di un cambiamento o anche come un momento retrospettivo di riflessione sulla vita [...] In questo modo gli alunni sono capaci di riconsiderare il proprio comportamento e forse anche di individuare strategie per sviluppare pienamente le proprie potenzialità.[5] 

Possiamo trovare un esempio di sviluppo di questo tema nello script “La crisalide” del testo citato.

Alcuni testi sono usati per ampliare nei ragazzi la comprensione del Sé attraverso il meccanismo della proiezione, inteso non nell’accezione più ampia di meccanismo di difesa, ma come “il processo attraverso cui un individuo trasferisce le proprie caratteristiche personali, siano esse positive o negative, ad altri individui, o oggetti animati o inanimati, a eventi o immagini, in un modo che tradisce l’inconsapevolezza della connessione.[6] 

Le immagini prodotte durante una fantasia guidata, in particolare se di questo tipo, forniscono uno dei modelli più chiari di proiezione, in quanto rispecchieranno inevitabilmente alcune tematiche dei vissuti dei ragazzi.

Operare collegamenti con i bisogni inconsci non è un compito che spetti all’insegnante in classe, in quanto il docente non viene qui considerato come un terapeuta per gli studenti ma, opportunamente calibrato nei tempi, un intervento di questo genere può portare a un’ampia e volontaria apertura personale. L’atto dell’interpretazione può avere notevole importanza per l’individuo, nel senso che promuove in lui l’autoconsapevolezza e lo incoraggia a intraprendere una serrata analisi del proprio Sé e delle proprie relazioni con gli altri. Questo processo di rafforzamento personale può essere bloccato in classe se gli insegnanti, inconsapevolmente, forniscono una loro interpretazione di elementi presenti nelle fantasie degli alunni. Noi vorremmo sottolineare una volta ancora che l’insegnante deve resistere alla tentazione di interpretare ciò che gli alunni raccontano sulle proprie esperienze di fantasia guidata.[7]

Il ruolo più adeguato da parte dell’insegnante sarà quindi quello di far sì che egli stesso e gli alunni sappiano seguire e ascoltare senza giudicare né distorcere, e di saper riflettere sugli elementi sia cognitivi che affettivi contenuti nei racconti degli alunni e riconoscere che ogni individuo ha diritto di avere la propria percezione della realtà.

Anche Jung sostiene il punto di vista non interpretativo. Egli afferma che si deve lasciare alla persona la possibilità di analizzare la sua fantasia in termini personali, utilizzando il processo di “immaginazione attiva”, attività che egli descrive come “la sperimentazione dell’inconscio in momenti di coscienza”.[8] 

Se agli alunni si permette di arrivare a conclusioni personali circa il significato delle proprie immagini si fornisce loro un mezzo importante per assumere il controllo della propria vita. In questo senso le tecniche della Gestalt delineate da Fritz Perls offrono strategie significative. In particolare quattro delle caratteristiche di questa tecnica possono essere utilizzate efficacemente in ambito educativo: evitare le domande che iniziano con il perché per non spingere l’alunno a spiegare comportamenti di cui non possiede la chiave interpretativa; incoraggiare gli alunni a personalizzare le affermazioni, invitarli ad assumere il ruolo degli elementi contenuti nelle loro fantasie e mantenere un tono neutro sia durante la lettura del testo che durante i commenti.

Molti scripts possono mirare più semplicemente ad indurre un senso di rilassamento, la distensione che sarebbe così necessaria in tanti momenti della vita scolastica, per migliorare la concentrazione nello studio e le relazioni nel gruppo, e che invece mille situazioni stressanti continuamente impediscono.

Attraverso la visualizzazione non solo si può indurre nel corpo un adeguato rilassamento, ma si possono anche facilitare processi di controllo del proprio

 stato fisico, nonché di miglioramento del proprio stato di salute. Anche questa potenzialità dell’immaginazione può essere utilizzata per sviluppare nei ragazzi una maggiore consapevolezza della propria salute.[9] Ovviamente l'utilizzo dell'immaginazione guidata più chiaramente finalizzato alla didattica è l’uso di scripts per incoraggiare la creatività, anche se, naturalmente, già ciascuno dei testi è di per sé un esercizio per aumentare la capacità di immaginare. Ci sono comunque testi specificamente studiati per superare le resistenze che spesso limitano le potenzialità creative e sperimentare una nuova libertà immaginativa.[10]

Dopo la lettura uno dei testi è utile dare ai ragazzi l’opportunità di rielaborare la propria esperienza più coscientemente e, se vogliono, di comunicarla agli altri. Un modo interessante sembra essere quello di mettere a disposizione fogli e colori affinché la creatività degli alunni possa esprimersi con delle immagini. Lo sforzo di sintesi e di espressione che tale attività richiede assicura di per sé una certa rielaborazione dell’esperienza, oltre alla possibilità di renderla concreta e mantenerla nel tempo.

La fantasia può essere rielaborata anche attraverso altri codici espressivi, la danza, il modellare l’argilla, la drammatizzazione, il canto, il mimo, ecc. ma il disegno rimane il metodo più usato e più facile da realizzare in classe.

Un particolare coinvolgimento emotivo può accompagnare la realizzazione dei disegni dopo l’esperienza e ciò può sensibilizzare i ragazzi alla fruizione

 delle arti figurative ma, soprattutto, se si commentano i propri disegni insieme al resto della classe, sarà utile a sviluppare empatia e comunicazione fra gli alunni.

Anche la scrittura è un buon metodo per dare forma alla propria esperienza, purché sia vissuta con la massima libertà e non abbia caratteristiche didattiche in senso stretto o, peggio, di valutazione. I ragazzi dovrebbero essere incoraggiati ad esprimersi nelle forme che preferiscono, anche con la poesia se vogliono, purché corrisponda alle loro esigenze, anche se in forme assolutamente non convenzionali.

L’immaginazione guidata si presta eccezionalmente allo sviluppo delle capacità di ascolto da parte degli alunni, soprattutto durante l’interscambio sull’esperienza. Un modo per facilitare tale interscambio sembra quello di dividere i ragazzi in coppie o piccoli gruppi a cui assegnare alternativamente, e per un tempo stabilito, il ruolo di ascoltatore o di relatore, in modo da avere un feedback diretto della loro capacità di concentrare l’attenzione su un’altra persona in maniera sensibile e gentile, la reciprocità garantisce infatti, generalmente, la comprensione e il rispetto per i contenuti delle esperienze.

In questa fase il ruolo dell’insegnante dovrà essere particolarmente misurato, come si è già accennato precedentemente a proposito dell’interpretazione.

Gli insegnanti della Nottingham University hanno anche segnalato le varie obiezioni che sono state mosse alla loro proposta di lavoro ed è interessante averne un’idea per chiarire eventuali dubbi che dovessero sorgere nella fase di ricerca.

La critica che viene avanzata più frequentemente è che con l’immaginazione guidata possono essere toccati aspetti personali di rilevanza psicologica per i bambini e che per fare ciò è necessario avere una qualificazione adeguata. Gli autori affermano, invece, che proprio affidare a “specialisti” l’interpretazione delle immagini è potenzialmente pericoloso in quanto l’esperienza non prevede che qualcuno dica agli alunni quale è il suo significato, anzi, come già visto, suggeriscono agli insegnanti un atteggiamento particolarmente cauto e rispettoso delle sensazioni dei ragazzi e della loro capacità di trarre conclusioni personali dallo propria esperienza.

In ogni caso, durante il corso della ricerca effettuata, non si sono riscontrati problemi nei ragazzi coinvolti in questa attività, mentre, d’altra parte, un’ampia serie di ricerche evidenzia come “molti ragazzi presentino un concetto di sé irreparabilmente danneggiato a causa di un insegnamento mediocre condotto secondo metodologie tradizionali”.[11] 

Un’altra obiezione molto comune riguarda la possibilità di suggestionare i ragazzi durante un presunto stato di ipnosi, dubbio causato probabilmente dal fraintendimento che lo stato di rilassamento a cui i ragazzi vengono indotti possa costituire una vera e propria trance ipnotica mentre tra i due stati esiste una notevole differenza.

Non si può inoltre non tenere conto delle suggestioni a cui i ragazzi sono esposti costantemente, e a loro insaputa, dai comunicatori di professione, che usano i mass media per scopi meramente commerciali e manipolativi.

L’alunno, invece, potrebbe imparare proprio attraverso l’immaginazione guidata a gestire con più consapevolezza le proprie fantasie e diventare così, paradossalmente, meno suggestionabile.

Dubbi da parte dello stesso corpo insegnante sono emersi soprattutto in relazione alla propria capacità di gestire le emozioni che inevitabilmente emergono durante l’attività. Evidentemente il ruolo dell’insegnante è notevolmente alleggerito se ci si attiene a svolgerlo in senso strettamente didattico, ma chiunque abbia esperienza di insegnamento sa quanto sia labile il confine tra l’aspetto professionale e quello umano in questo lavoro, e quanto una relazione più profonda con gli alunni influenzi anche il risultato didattico.

Oltre alle perplessità sorte, gli autori anche messo in luce i benefici che, secondo la loro esperienza, sono derivati dall’attività svolta e che si possono sintetizzare come segue:

Negli Stati Uniti l’immaginazione guidata è stata usata nelle scuole di Los Angeles dal 1978 al 1981 nell’ambito dei programmi per le elementari di Bell High e Main Street. Inoltre, nel 1981, circa 1500 tra insegnanti e alunni della Columbia Britannica sono stati coinvolti in uno studio sperimentale di immaginazione guidata per gli studenti indigeni americani i cui risultati sono stati documentati in un rapporto del Ministero della Pubblica Istruzione intitolato “New Strategies in Indian Education: Utilizing the Indian Child’s Advantage in the Elementary Classroom”.

Un ampio resoconto di queste ed altre esperienze, anche qui corredato dai testi utilizzati nelle varie sperimentazioni, è offerto dal testo “L’immaginazione guidata con i bambini e gli adolescenti. Esercizi e tecniche per l’apprendimento, la creatività e il rilassamento” di Maureen Murdock.

L’autrice sottolinea soprattutto l’importanza dell’apprendimento multisensoriale, cioè della memorizzazione delle informazioni associate alle sensazioni come suoni, odori, colori o anche sensazioni cenestesiche.

Quasi tutti, e soprattutto i bambini, hanno la capacità di naturale di conservare i ricordi associandoli ai loro sensi, quindi “possiamo pensare a noi come a persone a orientamento verbale-auditivo, o visivo, o cenestesico, ma è probabile che usiamo contemporaneamente tutti questi sistemi. In alcuni casi, tuttavia, siamo consapevoli di un sistema più che di un altro”.[12] 

 In pratica, ciascuno di noi usa un canale sensoriale privilegiato per memorizzare, c’è chi ha bisogno di collegare il ricordo ai suoni, chi a delle immagini o schemi, chi memorizza muovendosi. È importante rendersi conto delle proprie preferenze innate per poterle eventualmente rafforzare, ma anche per poter scoprire altri canali di apprendimento.

Soprattutto quando si tratta di bambini, però, è importante saper riconoscere le loro modalità e non ostacolarle o reprimerle in favore di modelli di apprendimento più “normali”.

Apprendere con il senso cenestesico, ad esempio, può essere particolarmente utile per migliorare le proprie capacità sportive, il prof. Richard Suinn, direttore alla facoltà di Psicologia alla Colorado State University, “fa esercitare gli sciatori olimpici a immaginare i loro percorsi con gli sci e a correggere mentalmente gli errori commessi nella pratica fisica”.[13] D’altra parte, “se la mente può immaginare che voi potete fare qualcosa, potete farlo realmente. Io visualizzo me stesso che ho già raggiunto la meta. La realizzazione è solamente la conseguenza fisica, un ricordo della visione sulla quale vi state concentrando”.[14] 

La sensazione cenestesica può anche essere usata per migliorare il rendimento scolastico; per memorizzare, ad esempio, può essere utile scandire un ritmo anche con il corpo, magari tamburellando con le mani oppure ondeggiando con il busto, se si scopre che è utile, perché reprimere questo canale privilegiato di apprendimento?

L’immaginazione guidata può essere usata, comunque, oltre che per scoprire e sondare le proprie modalità comunicative e di apprendimento, anche per migliorare il proprio rendimento in una qualsiasi attività, semplicemente immaginandosi mentre si svolge il compito da apprendere nella maniera migliore, notando anche gli errori che normalmente si commettono, prima di passare all’azione concreta. “La fiducia nelle nostre possibilità aumenta quando riusciamo ad immaginare di stare agendo perfettamente. Il cervello e il sistema nervoso centrale non conoscono la differenza tra un’immagine profondamente incisa e un evento reale. Se riusciamo ad imprimere profondamente un’immagine il suo effetto sarà efficace esattamente quanto l’azione reale.”[15] 

L’immaginazione è anche un importante stimolo all’espressione di sé, “non ci sono limiti alla creatività con cui i bambini scrivono quando sono ispirati dalla loro immaginazione [...] l’immaginazione spinge anche il bambino meno orientato verso l’espressione verbale a manifestare le sue idee”.[16]

Anche la lettura migliora perché leggere ciò che si è scritto della propria esperienza è più coinvolgente e divertente. La fantasia guidata aiuta inoltre a sviluppare un’immagine di sé positiva; “il bambino che visualizza se stesso mentre migliora una particolare capacità [...] comincia a credere che ciò sia effettivamente possibile. A mano a mano che migliora la capacità desiderata la sua fiducia in se stesso è rafforzata. Impara ad avere fiducia in sé, nella sua capacità di apprendere, nella sua capacità di essere felice”.[17] 

È importante a questo proposito ricordare quanto sia inscindibile lo stato d’animo, l’emozione, dalle capacità cognitive.

Si migliora al massimo la propria capacità di apprendere quando si è felici. A causa del modo in cui è strutturato il cervello, non si possono separare le emozioni dall’apprendimento. I percorsi neurali tra la neocorteccia (il cervello cognitivo) e il sistema limbico (il cervello emotivo) sono sempre operanti, anche negli individui che ritengono che le loro azioni siano dirette unicamente dal loro intelletto.[18]

Dare ai bambini la possibilità di sentirsi accettati nelle loro fantasie e fornire loro lo strumento per percepirsi al meglio delle loro capacità è un’ottima base per fondare i processi di acquisizione cognitiva che qualsiasi materia scolastica richiede e la fantasia guidata pare poter fornire un buon apporto verso questo obiettivo.

CAPITOLO II

Il linguaggio analogico-metaforico 

L’immaginazione guidata trae le sue origini da numerosi aspetti dell’esperienza umana ai quali ho ritenuto utile fare riferimento prima di approfondire la tecnica sul campo.

 Come già accennato nel precedente capitolo, l’immaginazione guidata è una forma di comunicazione basata sul linguaggio analogico-metaforico, quello, cioè, che più di ogni altro linguaggio pare trasmettere e ricevere le informazioni sulle emozioni e sull’idea della realtà dalla quale dipende tanto dell’equilibrio psico-fisico dell’individuo.

Si possono riconoscere, in effetti, due principali modalità comunicative, una cosiddetta digitale e una analogica. Nella prima l’oggetto della comunicazione è rappresentato da un segno o designazione che non ha un rapporto diretto con il designato, bensì è scelto arbitrariamente a rappresentarlo, come, ad esempio, una qualsiasi parola rispetto all’oggetto o al concetto a cui si riferisce. La modalità di comunicazione analogica usa invece segni che hanno con l’oggetto designato un rapporto diretto in quanto rappresentano un’analogia o evocano immagini. Esempi di comunicazione analogica possono essere le carte geografiche, immagini e segni ideografici, veri e propri simboli (come quelli dei sogni), parole onomatopeiche, rappresentazione di una parte per il tutto, ecc.

Il linguaggio digitale e quello analogico sono due lingue diverse a tutti gli effetti “l’una dà definizioni, è obiettiva, cerebrale, logica, analitica; è la lingua della ragione, della scienza, dell’interpretazione e della spiegazione. L’altra è molto più difficile da definire, appunto perché non è la lingua della definizione. La si potrebbe chiamare la lingua dell’immagine, della metafora, della pars pro toto, forse del simbolo, in ogni caso comunque della totalità.”[19]

Ognuna delle due modalità di comunicazione e di interpretazione della realtà sembrerebbe essere regolata da un emisfero cerebrale più che dall’altro, infatti le due parti del cervello, separate dal corpo calloso, alla luce di varie ricerche in campo neuropsicologico risultano avere funzioni distinte seppure connesse e complementari.

Il medico e anatomista inglese Wigan scrisse, già nel 1844, “credo di poter dimostrare che, in primo luogo, ogni membro rappresenta un organo integrale di pensiero, e in secondo luogo che procedimenti di pensiero e riflessioni separati e diversi possono avere luogo contemporaneamente nelle due metà del cervello.”[20] 

Un vasto ciclo di scoperte si è sviluppato poi durante gli anni cinquanta e sessanta, iniziato da Meyers e Sperry (1953), a seguito degli studi sui danni funzionali subiti dai pazienti operati di commissurotomia per limitare gli effetti dell’epilessia[21], tali ricerche hanno permesso di risalire alle diverse funzioni dei due emisferi cerebrali. Fu così che si giunse ad attribuire all’emisfero sinistro del destrimane tipico “la traduzione delle percezioni del mondo in rappresentazioni logiche, semantiche, fonetiche e la comunicazione con la realtà in chiave logico-analitica”. Delle sue funzioni fanno quindi parte la lingua (come grammatica, semantica, sintassi) e il pensiero, quindi il leggere, lo scrivere, il fare calcoli e, in generale, la comunicazione digitale.

Le funzioni dell’emisfero destro, sempre nel destrimane tipico, sono invece quelle che riguardano il cogliere nella loro totalità contesti, tipi, configurazioni e strutture complesse, capacità che si fonda sul principio della pars pro toto, cioè del riconoscimento della totalità a partire da un dettaglio essenziale. Altre caratteristiche della metà destra del cervello sono: la capacità di costruire le classi logiche su cui si fonda la formazione dei concetti, associazioni non lineari con caratteristiche di “atemporalità”, un linguaggio arcaico e non sviluppato, la confusione tra concreto e metaforico, condensazioni, giochi di parole, freddure.

Nell’emisfero destro domina l’immagine, l’analogia, quindi la comprensione delle dimensioni spaziali fa capo quasi unicamente a questa parte del cervello, come anche un’immagine più o meno definitiva del mondo. Da ciò si può supporre l’utilità di rivolgersi all’emisfero destro con il linguaggio che più gli è congeniale per conoscere le immagini che operano nell’individuo e influenzano i suoi rapporti con la realtà.

Ritroviamo il linguaggio analogico, simbolico e metaforico, tipico dell’emisfero destro del cervello, nei sogni, nei miti e nelle fiabe. In ciascuno di questi contesti riveste un ruolo diverso ma sempre legato alle tematiche più profondamente radicate nell’essere umano. Fromm lo definisce il linguaggio simbolico tout court “forse l’unico linguaggio universale che mai sia stato creato dall’uomo, rimasto identico per ogni civiltà e nel corso della storia” e “l’unica lingua straniera che ognuno di noi dovrebbe imparare”.[22] Di fatto, nota poi Fromm, l’uomo moderno ha dimenticato l’antica dimestichezza con tali forme di espressione; i sogni vengono presi in considerazione solo dai pazienti che affrontano un’analisi, i miti sono comunemente considerati il retaggio di forme religiose arcaiche, le fiabe sono confinate nel mondo dell’infanzia, e forse neanche più in quello. Eppure un tempo “miti e sogni rappresentavano alcune fra le più significative espressioni dell’intelletto, e il non comprenderli sarebbe equivalso all’analfabetismo”.[23], e ancora, “il Talmud dice: i sogni non interpretati sono lettere non aperte”. E infatti tanto i sogni quanto i miti sono degli importanti mezzi per comunicare con se stessi.

L’interpretazione dei sogni ha trovato in Freud l’espressione più feconda, è diventata la chiave di volta di una nuova Weltanschauung, l’apertura di uno squarcio nella sicurezza delle apparenze, la nascita di una nuova ermeneutica. Anche Freud sottolineò l'analogia di linguaggio tra sogni, mito e fiabe egli affermò infatti "con l'analisi dei sogni abbiamo scoperto che l'inconscio si serve di una sorta di simbolismo, specie quando si tratta di rappresentare dei complessi sessuali. Tale simbolismo, variabile da individuo a individuo, possiede in parte una sua natura specifica, che sembra identica al simbolismo che riteniamo che si celi nei miti e nelle leggende." [24]

Il linguaggio dei sogni ha per Freud la funzione di tradurre i pensieri onirici dettati dall'inconscio, trasformandoli sulla spinta delle forze di difesa dell'Io, cioè delle resistenze alla manifestazione di contenuti inaccettabili alla coscienza.

Mentre, però, l’interpretazione dei sogni di Freud era basata sul tentativo di risalire dal “contenuto manifesto” del sogno a quello “latente”, alla ricerca del desiderio inconfessabile e rimosso, in Jung si comincia ad avanzare un tipo di ermeneutica onirica fondata sulla comprensione del linguaggio del sogno come linguaggio simbolico, si tratta quindi di tradurre il linguaggio immaginale, tipico dell’inconscio da cui esso emerge, in linguaggio logico-discorsivo tipico della coscienza. Ed è proprio a questo linguaggio immaginale che Jung fa riferimento anche quando parla delle “immagini originarie” che costituiscono la struttura narrativa del mito; “frutto di un pensiero intuitivo, non razionale e non teso a cogliere la successione dei fenomeni, ma puramente associativo”.[25] 

Secondo Jung "perché si abbiano stabilità mentale e salute fisiologica, l'inconscio e il conscio debbono essere integralmente connessi fra loro e muoversi su piani paralleli […] Da questo punto di vista i simboli onirici sono i principali portatori di simboli dalle parti istintive a quelle razionali della mente umana e la loro interpretazione arricchisce la coscienza che in tal modo apprende a capire nuovamente il linguaggio dimenticato degli istinti."[26] 

È fondamentale inoltre, in Jung, il riconoscimento che, accanto ai contenuti personali, nella psiche agiscano anche contenuti che non provengono da acquisizioni personali, il cosiddetto inconscio collettivo. “L’espressione tipica dell’inconscio collettivo sono le immagini primordiali o archetipi. Si tratta di immagini a carattere arcaico proprie di un’epoca o di tutta l’umanità, che si manifestano, a livello individuale, nei sogni, nell’immaginazione provocata e nei disegni liberi, e, a livello collettivo, si concretizzano nei miti, nelle fiabe e nelle opere d’arte”.[27]

Detto con le parole di Jung stesso gli archetipi sono costituiti da tendenze istintive "altrettanto marcate quanto lo è la tendenza degli uccelli a costruire il nido", che si manifestano in veste di fantasie e attraverso immagini simboliche. "La loro origine è ignota e si riproducono in ogni tempo e in qualunque parte del mondo, anche laddove bisogna escludere qualsiasi fattore di trasmissione ereditaria diretta o per incrocio."[28] 

È quindi nel linguaggio analogico e immaginale che si esprimono i simboli universali, gli unici “in cui la relazione tra il simbolo e ciò che viene simbolizzato non è coincidente ma intrinseca. Essa è radicata nell’esperienza dall’affinità esistente tra un’emozione e un pensiero da una parte e un’esperienza sensoriale dall’altra”.[29] 

Proprio per questa universalità del linguaggio, i miti che, come i sogni e le fiabe, ne sono l’espressione, si ritrovano singolarmente simili anche in civiltà lontane sia nello spazio che nel tempo.

“Il sogno è la versione individuale del mito; il mito è la versione collettiva del sogno; mito e sogno sono entrambi simbolici in quanto frutto della stessa dinamica della psiche”.[30] Ciò fa sì che, ad esempio, il mito in cui l’eroe intraprende il viaggio per raggiungere ciò che rappresenta la salvezza per il suo mondo sia onnipresente e abbia caratteristiche sorprendentemente comuni in tutte le epoche e in tutte le civiltà, a qualsiasi latitudine esse si siano sviluppate.

L’avventura dell’eroe, sia essa descritta con le ampie, quasi oceaniche immagini orientali, o nelle vigorose narrazioni greche, o nelle solenni leggende bibliche, segue sempre la traccia dell’unità nucleare sopra descritta: separazione dal mondo, penetrazione sino a qualche forma di potere e ritorno apportatore di vita. […] Il ciclo cosmogonico è presentato con sconcertante conformità negli scritti sacri di tutti i continenti.[31] 

Evidentemente il linguaggio simbolico e metaforico utilizzato nei miti è particolarmente adatto a trasmettere la saggezza tradizionale e veicolare le immagini guida che hanno dato forma alle diverse civiltà costituendone il fondamento di pensiero e di vita.

 Secondo Campbell, infatti, le figure mitologiche “non sono soltanto dei sintomi dell’inconscio, ma sono anche affermazioni controllate e stabilite di determinati principi spirituali, rimasti altrettanto costanti lungo il corso della storia quanto la forma e la struttura nervosa del corpo umano”, il cui scopo sarebbe di insegnare che:

le strutture visibili del mondo sono gli effetti di un potere onnipresente dal quale sorgono, dal quale sono sostenute e riempite durante il periodo della loro manifestazione, e nel quale devono infine dissolversi.
È questo il potere che la scienza chiama energia, i melanesiani chiamano mana, i pellerossa Sioux chiamano wakonda, gli indù shakti, e i cristiani potere di Dio. La sua manifestazione nella psiche viene chiamata dagli psicoanalisti libido. E la sua manifestazione nel cosmo è la struttura e il flusso dell’universo stesso. La conoscenza della fonte di questo indistinto eppur particolareggiato substrato dell’essere, viene frustrata dagli stessi organi attraverso i quali essa deve essere raggiunta. Le forme della sensibilità e le categorie del pensiero umano che sono di per se stesse manifestazioni di questo potere, limitano a tal punto la mente che è normalmente impossibile non solo vedere, ma persino concepire al di fuori del multicolore, fluido, infinitamente vario quadro fenomenico. La funzione dei riti e dei miti è quella di rendere possibile e poi facilitare il passaggio per mezzo dell’analogia […] in modo da suggerire l’esistenza di una realtà trascendente [32].

Il linguaggio del simbolo e della metafora è stato quindi sempre usato nell’espressione religiosa in quanto pare sia il più adatto ad attivare nella mente processi introspettivi, di ricerca e di elevazione oltre se stessi.

“In tutti i testi sacri di tutte le religioni, il modulo comunicativo analogico sembra proprio quello maggiormente usato, evidentemente perché è il più adeguato per esprimere realtà che la razionalità, da sola, non può comprendere”.[33] 

Il linguaggio dell’immaginario trova il suo più ovvio utilizzo anche nelle fiabe dove, a differenza del mito, “l’eroe ottiene un trionfo domestico, microcosmico, mentre l’eroe del mito riporta un trionfo macrocosmico, di portata storica e universale. Mentre il primo trionfa sui propri oppressori personali, il secondo riporta dalla propria avventura il mezzo per la rigenerazione di tutta la società”.[34]

Il mito si rivolge al singolo per trasmettere il patrimonio di credenze e valori della sua civiltà, per suggerirgli il suo ruolo nella società, per comunicare una visione del mondo reale e di ciò che si suppone sia oltre di esso.

La fiaba parla al singolo prescindendo da qualsiasi cosmogonia, non sono necessarie spiegazioni all’esistenza umana né visioni trascendenti della realtà, le esperienze che ognuno può sperimentare nella vita di tutti i giorni, l’antagonismo, l’affermazione personale, l’appello alle proprie risorse interne, il superamento degli ostacoli interni ed esterni, tutto è reso nel linguaggio metaforico della fiaba e parla all’inconscio dell’individuo, e soprattutto a quello del bambino, con grande forza e chiarezza.

Soprattutto, quindi, per i bambini, la fiaba è un mezzo per vivere i timori, le ansie, le difficoltà della crescita attraverso il protagonista della fiaba e, con lui, di rassicurarsi e acquisire fiducia nelle proprie risorse interne. Le fiabe raccontano al bambino ciò che lo aspetta da adolescente: avventure e disavventure per diventare adulto e sicuro.

Il mezzo che la fiaba usa è quindi la metafora; ogni personaggio, ogni azione, ogni aspetto svolge una funzione che va al di là della storia narrata, significa per chi ascolta qualcosa di conosciuto e analogo, parla all’inconscio con il linguaggio che gli è più congeniale.

I personaggi della fiaba si collocano in posizioni vicine alla coscienza. Quando entrano in campo degli animali abbiamo a che fare con forze pulsionali, più istintive, più legate al mondo degli affetti, più lontane dal piano razionale. Quando si tratta di elementi naturali o di mostri sono in gioco forze ancora più primordiali, biologiche, fuori dal controllo cosciente. Nelle fiabe il passaggio da un mondo all’altro può indicare un’evoluzione della coscienza delle forze che essi rappresentano o una loro regressione verso l’inconscio.[35] 

La fiaba è stata quindi riconosciuta uno strumento potente di comunicazione e di rielaborazione di contenuti ed è stata ampiamente analizzata nelle sue varie componenti. Uno dei maggiori esperti di analisi psicologica della fiaba, Vladimir J. Propp[36] ha individuato sette personaggi chiave: il cattivo, il donatore, l’aiutante, la figlia del re, il mandante, l’eroe e il falso eroe. Queste figure sono comuni a tutte le fiabe di magia presenti in tempi e paesi diversi ed è interessante rilevare come anche le mitologie e le religioni prevedono queste stesse figure.

Propp evidenzia poi la funzione come criterio chiave per l’analisi psicologica della fiaba ed elenca la possibilità di 31 diverse funzioni che ricorrono nelle fiabe, anche se possono non essere tutte presenti in una singola di esse. Anche dall’elenco di queste funzioni si possono intravedere degli elementi in comune tra fiabe, miti e religioni, tanto da suscitare l'interrogativo: “questi elementi comuni dimostrano che fiabe, miti e religioni hanno la stessa origine oppure che la mente umana sintetizza in poche categorie realtà tra loro diverse?”[37] 

Un altro importante autore, Bruno Bettelheim, ha esposto il ruolo della fiaba nell’età evolutiva, ne ha sottolineato l’importanza e rivelato i significati psicoanalitici.

Le fiabe, a differenza di qualsiasi altra forma di letteratura, indirizzano il bambino verso la scoperta della sua identità e della sua vocazione, e suggeriscono inoltre quali esperienze sono necessarie per sviluppare ulteriormente il suo carattere. Le fiabe suggeriscono che una vita gratificante e positiva è alla portata di ciascuno nonostante le avversità, ma soltanto se non si cerca di evitare le rischiose lotte senza le quali nessuno mai può raggiungere una vera identità. Queste storie assicurano che se un bambino ha il coraggio di affrontare questa terrificante e dura ricerca, potenze benevole interverranno in suo aiuto, ed egli riuscirà.[38]

L’efficacia delle fiabe è dovuta al fatto che ci parlano nel linguaggio di simboli che rappresentano un contenuto inconscio. Essi fanno appello contemporaneamente alla nostra mente conscia e inconscia, a tutti e tre i suoi aspetti, Es, Io e Super-io, ed esprimono fenomeni psicologici interiori. Proprio per la loro efficacia nell’esteriorizzare e rendere comprensibili i processi interni, le fiabe sono state e sono tuttora usate ad uso terapeutico. “Nella medicina tradizionale indù veniva assegnata a un individuo psichicamente disorientato una fiaba che interpretava il suo particolare problema. Egli doveva farne l’oggetto della sua meditazione e ci si aspettava che in questo modo fosse indotto a visualizzare sia la natura delle sue difficoltà, sia la possibilità di superarle”.[39] 

La psicologa e psicoterapeuta Maria Varano ha fondato tutta la sua attività proprio sull’uso terapeutico della fiaba e il suo testo “Guarire con la fiabe” costituisce un valido apporto in questo senso, fornendo una raccolta di storie di persone diverse che riproducono le tappe fondamentali dello sviluppo individuale e dell'evoluzione collettiva, divenendo metafora della storia del singolo ma anche dell'umanità. In questo senso la fiaba rappresenta "un'area di intersezione piuttosto che una linea di confine, tra il reale e l'immaginario, tra il razionale e non. Come macchina produttrice di senso, consente di agire i conflitti e di prefigurarsene le soluzioni. Una fiaba apre a diverse spiegazioni o interpretazioni ed inoltre può creare nuove connessioni e suggerire congetture con possibilità di sviluppo."[40]

 Anche la psicologa clinica di formazione analitica Alba Marcoli ha raccolto la sua esperienza terapeutica ne “Il bambino nascosto. Favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli” in cui appunto le fiabe sono usate per risolvere il disagio psichico di adulti e bambini.

Verena Kast, nel suo "Le fiabe che curano. Racconti popolari e psicoterapia", utilizza l'interpretazione intrapsichica in cui i personaggi minori vengono considerati come tratti di personalità del protagonista e in questa ottica analizzati.

Persino Goethe nella sua “Favola” sembra abbia voluto indirizzare un messaggio di cambiamento e guarigione al suo amico Schiller e “proprio il tono sommesso dell’ammonimento contenuto nella “Favola” ispirò a Schiller un senso di gratitudine. Attraverso immagini delicate Goethe gli faceva intendere ciò che non avrebbe mai potuto dirgli in forma diretta”.[41] 

La chiave di tale efficacia sembrerebbe quindi, al di là della validità del messaggio, il linguaggio attraverso il quale questo viene veicolato. La forma indiretta, eppure così profonda, della metafora sembra poter arrivare dove un linguaggio razionale troverebbe le porte sbarrate. Vale la pena di evidenziare questa modalità comunicativa e darne una definizione più precisa, visto che è alla base anche dei testi di fantasia guidata.

Per metafora si intende, generalmente, “una figura retorica per la quale si esprime, sulla base di una similitudine, una cosa diversa da quella nominata (p.e. sei un fulmine, sei veloce come un fulmine)”. Questo è, almeno, quanto possiamo trovare sulla metafora in un qualsiasi dizionario della lingua italiana. Tentando un maggiore approfondimento, possiamo trovare una prima definizione della metafora nella “Poetica” di Aristotele che afferma “La metafora consiste nel trasferire a un oggetto il nome che è proprio di un altro: e questo trasferimento avviene, o dal genere alla specie, o da specie a specie, o per analogia.” Pacciolla afferma che si deve proprio ad Aristotele la collocazione della metafora tra linguistica e psicologia “come tensione tra logica e sentimento, tra la verità e l’emozione, il vero e il verosimile che convince più del vero.”[42] e rileva come il filosofo abbia sottolineato che “un’appropriata metafora è un dono che ci offre un nuovo significato”.[43]

Proprio questo concetto aristotelico ci consente di approfondire il ruolo della metafora e di andare oltre la mera figura retorica, che concerne cioè i mezzi di comunicazione per convincere. Infatti il concetto di metafora come dono “apre la via alla considerazione della metafora come processo profondo, inconscio o comunque contraddittorio rispetto all’idea che essa sia un semplice trasferimento di nomi per un’idea che non cambia”.[44] 

Ciò che viene trasmesso dalla metafora trascende quindi la pura e semplice informazione linguistica e si pone ad un meta livello in cui, tramite la decontestualizzazione e ricontestualizzazione di un elemento, si impone una percezione diversa della realtà. È dunque una funzione della metafora “quella di creare rappresentazioni mentali capaci di reinterpretare realtà e oggetti che essa descrive attraverso un linguaggio in cui la referenzialità convenzionale dei segni viene armonicamente inserita in un contesto più ampio e, per certi aspetti, nuovo.”[45] 

In questo senso la metafora costituirebbe una sorta di rapporto creativo fra l’individuo e le sue stesse percezioni del mondo, una modalità di conoscenza e di approccio alla realtà. Si può ricollegare questa qualità creativa della metafora alla distinzione tra “metafore vive” e “metafore morte”

 sottolineata da Ricoeur, per il quale le vere metafore sono quelle di invenzione, cioè “usate mediante figure che non hanno ancora ricevuto la sanzione dell’uso”[46], in cui una nuova estensione di significato delle parole corrisponde ad una nuova discordanza della frase.

Questa capacità della metafora, al di là dell’ambito strettamente comunicativo, di gettare nuova luce su un dato dell’esperienza, apre la possibilità di una vera e propria ridefinizione della realtà.

Altra importante caratteristica della metafora è la sua intrinseca ambiguità, infatti questa modalità comunicativa non si pone mai come portatrice di significati univoci, bensì si propone con una molteplicità di sensi possibili e si apre ad interpretazioni diverse, lasciando libero chi la ascolta di cogliere solo ciò che può o desidera.

“Il valore della metafora non è quindi da ricercarsi nelle parole che la compongono ma in ciò che il lettore percepisce ed elabora mentalmente al di là di esse, in un continuo superamento del testo scritto”.[47] La metafora stessa sembrerebbe orientare l’ascoltatore a non accontentarsi del senso oggettivo dei termini, ma a ricavarne uno più soggettivamente proprio. L’interesse potrebbe essere, quindi, non nella metafora in quanto tale, ma nel risultato dell’interazione fra questa e chi la percepisce. Il processo spontaneo di tentare di attribuire un senso a tutto ciò di cui veniamo a contatto innesca, nell’incontro con la metafora, una dinamica della rielaborazione della propria esperienza in riferimento a essa.

Per tutte queste sue caratteristiche la metafora si può intendere come strumento di cambiamento, per introdurre minime variazioni a livello di credenze personali, sulle quali poter poi sviluppare nuove possibilità.

Sull’uso terapeutico della metafora sarà utile fare un brevissimo resoconto, sempre in virtù delle affinità dell’immaginazione guidata con la comunicazione analogico-immaginativa, pur tenendo bene presente la diversità di finalità nell’uso di tale modalità comunicativa tra l’ambito terapeutico e quello pedagogico-formativo.

Per quanto si è finora detto si è reso evidente che, per l’inconscio, vivere un’esperienza nella realtà o immaginarla, con il coinvolgimento emotivo fornito dal linguaggio figurato, c’è poca o nessuna differenza. È per questo che, come afferma Pacciolla “conoscere le immagini o i simboli che condizionano il nostro comportamento [...] è come entrare nella stanza dei bottoni o nella cabina di pilotaggio”.[48] È normale, quindi, che la psicoterapia si sia sempre impegnata in questa opera di ricerca, elaborazione e interpretazione dell’immaginario dell’individuo al fine di modificare, attraverso le immagini operanti in lui, il rapporto tra certe esperienze e le emozioni che le accompagnano.

Già in Freud viene discusso il problema del linguaggio metaforico come il primo e l’originario linguaggio dell’essere umano nel suo “Studi sull’isteria”, e la metafora stessa, nel senso del raccontare la propria storia, è alla base della terapia psicoanalitica. Per Freud comunque, il narrare è un modo per rintracciare avvenimenti significativi o traumatici della vita per superarli. Si tratta non tanto di suggerire all’inconscio, col suo stesso linguaggio, una percezione diversa delle cose, quanto di gettare la luce della ragione sul contenuto rimosso fornendone alla coscienza una interpretazione razionale.

 Come afferma Hillman in maniera suggestiva, “la differenza tra Freud e Jung è differenza tra allegoria e metafora”, spiegando poi che:

allegoria e metafora esordiscono entrambe dicendo una cosa come se fosse un’altra, ma mentre il metodo allegorico divide questo linguaggio duplice in due elementi costitutivi (latente e manifesto) e richiede una traduzione dal materiale manifesto nel latente, il metodo metaforico mantiene unite le due parti [...] Le metafore non sono passibili di traduzione interpretativa, senza che ne vada distrutta la peculiare unità.[49]

Anche Erickson e Rossi sottolineano questa differenza e considerano inadeguato all’approccio psicoanalitico l’uso del linguaggio metaforico come accesso privilegiato all’emisfero destro, in quanto in psicoanalisi prima si traduce il linguaggio analogico dell’emisfero destro nei modelli cognitivi astratti dell’emisfero sinistro, che deve poi retroagire su quello destro per mutare il sintomo. È invece interessante notare come Jung suggerisca un rapporto diretto con le immagini mentali, senza filtri razionali, un rapporto che restituisca inalterato il potere suggestivo e l’impatto emotivo di tali immagini e ne mantenga intatto il potere terapeutico. Per Jung infatti le immagini mentali hanno un ruolo fondamentale in psicoterapia fino ad affermare che “l’immagine è psiche” e “ogni accadimento psichico è un immagine e un immaginare”.[50] Ciò lo porta ad elaborare un singolare approccio al proprio mondo interno, costituito da una sorta di dialogo con le proprie immagini, un aspetto particolare della terapia junghiana che è detta immaginazione attiva. Hillman sottolinea giustamente l’importanza di tale pratica e spiega:

Essa (l’immaginazione attiva) mira a curare la psiche ristabilendola nel metaxy , donde era caduta nella malattia del letteralismo. Trovare la via che riporta al metaxy , rievoca un modo mitico di immaginare, simile a quello che il Socrate platonico usa per curare le anime. Questo ritorno al regno intermedio della narrativa, del mito, porta a una colloquiale familiarità con il cosmo che si abita. Curare significa così Ritorno, e coscienza psichica significa Colloquio.[51] 

Ma Jung non è stato l'unico a centrare la sua indagine della psiche sul linguaggio simbolico e metaforico ed in particolare sull'immaginazione.

 Con lui anche Happich[52] sostenne l'importanza di far emergere le immagini in uno stato di rilassamento e suggeriva al paziente scene e situazioni in cui calarsi con l'immaginazione.

Caslant[53] faceva un uso specifico dell'idea di ascesa e discesa in situazioni immaginarie e scoprì che altitudini notevoli erano generalmente associate a sentimenti positivi, mentre quelle basse a stati d'animo negativi.

Anche Desoille[54] sottolineò questa caratteristica e suppose che questi stati d'animo si sviluppassero per associazione con il calare e il sorgere del sole. Desoille sviluppò un sistema psicoterapeutico completo basato sull'uso della fantasia guidata in cui al paziente, dopo un rilassamento, veniva assegnato un argomento di partenza e il terapeuta poneva man mano domande volte a stimolare le immagini.

Un sistema psicoterapeutico simile fu elaborato da Leuner[55] che forniva ai suoi pazienti una serie di dieci temi immaginari standard che dovevano rappresentare i vari aspetti della loro vita interiore.

Sia Desoille che Leuner definirono una simbologia dell'esperienza di fantasia che non era però necessariamente condivisa dai pazienti evidenziando così i limiti di questo tipo di interpretazioni.

Numerose tecniche che includevano elementi di fantasia, come la visualizzazione di temi specifici o viaggi immaginari, furono usati anche dallo psichiatra italiano Assagioli[56] nel suo sistema terapeutico detto psicosintesi, che prevedeva lo sviluppo dell'intero potenziale di una persona.

 Anche Ferrucci[57] ha fornito significativi esempi sull'utilizzo della fantasia all'interno di questo sistema.

Nel corso degli anni 50, 60 e 70 si sviluppò un movimento che, ponendosi nel solco della psicologia umanistica, sottolineava le potenzialità presenti in tutti gli esseri umani di cambiare e crescere in modo positivo. Dall'uso della fantasia per aiutare una persona disturbata a raggiungere la "normalità" si passava all'uso della fantasia per aiutare persone "normali" a migliorare la qualità della propria vita, smitizzando l'importanza dell'esperto medico e restituendo al singolo la responsabilità della propria vita e del proprio apprendimento. In questa corrente si posono annoverare le opere di Rogers, Whithmore e Stevens .

Ritornando all’uso della metafora in senso stretto in psicoterapia, per quanto si possa supporre che l’impiego di racconti, aneddoti, rituali e attività con un contenuto metaforico sia molto diffuso in campo psicoterapico, non si può mancare di citare in particolare Milton Erickson, che ha fatto di questa modalità comunicativa il fulcro del suo metodo psicoterapico e ha aperto la strada a tutta una serie di esperienze psicoterapiche basate su questo approccio.

Alla base del sistema terapeutico di Erickson ci sono la trance ipnotica e una serie di storielle o aneddoti anche detti racconti didattici che egli improvvisava di volta in volta per i pazienti. Per trance ipnotica non si intende in questo caso di una vera e propria perdita di conoscenza del paziente, anche se questa non è assolutamente esclusa dalla terapia ericksoniana, bensì molto più semplicemente di un leggero abbassamento della soglia di vigilanza della coscienza, come quella che si può sperimentare normalmente durante attività ripetitive o rilassanti o semplicemente durante la visione di un film. In questo stato Erickson introduceva delle suggestioni utili al paziente ma inserite in racconti o osservazioni solo apparentemente privi di nesso con la problematica da affrontare ma che invece contenevano insospettate analogie con essa costituendone così un'utile metafora. Questa avrebbe aggirato le resistenze della mente conscia suggerendo così direttamente all'inconscio nuove prospettive circa il problema.

Questo uso della metafora è ampiamente descritto in tutte le opere di Erickson ma anche Barker, nel suo "L'uso della metafora in psicoterapia", ne fa un ampio resoconto elencando e chiarendo i vari tipi di metafora, il loro diverso utilizzo nei vari casi, la loro presentazione pratica.

Anche Gordon, nel suo “Metafore terapeutiche”, tratta dell’elaborazione e presentazione di metafore in terapia, con l’esemplificazione attraverso una dettagliata descrizione dello sviluppo di un racconto a contenuto metaforico elaborato per uno specifico caso clinico.

Gordon, rappresentante della scuola psicoterapeutica fondata da Richard Bandler e John Grinder detta Programmazione Neurolinguistica, illustra nel suo testo anche la dinamica della ricerca transderivazionale, che è alla base di tale tipo di terapia e strettamente legata alla fruizione della metafora. Si tratta di una sorta di riesame del proprio modello del mondo nel tentativo di dare un senso alla propria esperienza. Secondo Gordon e gli esponenti della PNL, è questa la ricerca che il paziente attua quando è posto di fronte ad un racconto a contenuto metaforico.

Bandler e Grinder hanno preso spunto dai lavori di Erickson per elaborare questo nuovo approccio detto PNL alla cui base, dopo l’attuazione di una ricerca transderivazionale, essi evidenziano nei pazienti un processo cosiddetto di ristrutturazione, che consentirebbe la ricollocazione di un’esperienza in una cornice diversa, con conseguente cambio del suo significato.[58]

Particolarmente mirato all’utilizzo della metafora con i bambini è il testo di Mills e Crowley “Metafore terapeutiche per bambini”, in cui gli autori offrono una vasta casistica corredata dei racconti metaforici usati. Particolare importanza assume qui, nell’elaborazione di metafore efficaci, il riconoscimento delle preferenze sensoriali dei piccoli pazienti in quanto, secondo gli autori, tutti noi percepiamo, apprendiamo e comunichiamo con i nostri cinque sistemi sensoriali, i nostri processi visivi, auditivi, cenestesici, olfattivi e gustativi, e spesso alcuni canali sono preferenziali rispetto ad altri. I sistemi sensoriali svolgono una funzione vitale in particolare per lo sviluppo del bambino, in quanto costituiscono il mezzo principale per il primo apprendimento nell’infanzia e nella fanciullezza.

L’adattamento della modalità comunicativa alla preferenza sensoriale del bambino sembra ampliare notevolmente le possibilità di attivare il cambiamento terapeutico e se ne potrebbe ipotizzare un valido utilizzo anche in campo didattico ai fini di un migliore apprendimento.

CAPITOLO III

L'immaginazione guidata nella prospettiva della pluralità dell'intelligenza  

Un punto di vista ulteriore per riflettere sulle possibilità di utilizzo dell'immaginazione guidata in ambito scolastico può essere fornito da un'ottica alternativa rispetto all'intelligenza umana. Esistono in psicologia due principali concezioni sulla struttura dell'intelligenza. Da una parte questa è vista come una capacità globale, singola, specificamente propria dell'essere umano, che fa capo alla struttura cerebrale in generale e non è frammentabile in funzioni distinte. La posizione contrapposta individua invece diverse componenti nella proprietà definita intelligenza e le fa risalire a funzioni o parti distinte della mente. Questa seconda posizione, delle distinte localizzazioni cerebrali, permette di evidenziare capacità intellettive, vere e proprie intelligenze alternative, che la posizione più olistica tende ad escludere o a minimizzare.

In effetti alla posizione che intende l'intelligenza come il prodotto della mente nella sua globalità, spesso si associa la convinzione che la quantità di intelligenza a disposizione di ogni singolo individuo non sia alienabile, ma tantomeno particolarmente incrementabile, e che tale quantità sia anche facilmente misurabile attraverso tests di vario genere. Di contro, l'orientamento che presuppone un vasto insieme di abilità mentali relativamente autonome tra loro, attribuisce in genere una grande importanza all'ambiente e all'apprendimento, e quindi alla modificabilità delle condizioni di partenza.

In particolare in uno dei testi chiave dell'esposizione di questa teoria, "Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza", l'autore Howard Gardner ipotizza l'esistenza di sette diverse forme di intelligenza, tutte relativamente autonome le une dalle altre e afferenti a settori distinti del cervello, anche se, ovviamente, spesso operanti in stretta correlazione e interdipendenza. Le sette diverse forme di intelligenza sarebbero l'intelligenza linguistica, quella logico-matematica, spaziale, musicale, corporea-cinestetica, e infine due tipi di intelligenza personale, quella intrapersonale e quella interpersonale.

Attualmente la formazione scolastica occidentale tende a privilegiare le prime due forme di intelligenza e a trascurare o, nel migliore dei casi, a subordinare alle prime due tutte le altre. Queste, però, non sono necessariamente intelligenze "minori", anzi, possono risultare fondamentali per la piena realizzazione dell'individuo, sia che questi sia poco dotato in questo senso e quindi delle carenze possano essere colmate, o tantopiù se l'individuo è particolarmente orientato verso una di queste intelligenze e tale talento ha bisogno di essere coltivato.

In particolare modo quella che viene definita intelligenza spaziale (o visivo-spaziale) e le due intelligenze personali potrebbero avere una certa attinenza con la pratica dell'immaginazione guidata e trarne anche alcuni vantaggi.

L'intelligenza visivo-spaziale concerne la capacità di percepire il mondo visivo con precisione, di eseguire trasformazioni e modifiche delle proprie percezioni iniziali e di riuscire a ricreare aspetti della propria immagine visiva persino in assenza degli stimoli fisici corrispondenti. In sintesi tale tipo di esperienza ha a che vedere con la capacità di creare un'immagine mentale e con l'utilizzare tale strumento, quello dell'immaginazione visiva, per la soluzione di vari problemi, in alternativa alla verbalizzazione, ad esempio.

Thurstone[59], che fu tra i fondatori della psicometria, annoverò l'abilità spaziale fra i sette fattori primari dell'intelletto. In effetti si può far ricorso alle capacità spaziali in campi anche molto diversi fra loro, dalla progettazione all'orientamento, dal riconoscimento di contesti all'uso di simboli, all'attività artistica o anche semplicemente alla fruizione dell'arte. Addirittura alla base di molte teorie scientifiche si trovano immagini di vasta portata. Arnheim[60], arriva ad affermare che "un pensiero veramente produttivo in qualsiasi area della cognizione ha luogo nell'ambito dell'immaginazione visiva".

Nonostante si debba essere piuttosto prudenti nell'assumere posizioni troppo radicali sulla separazione di competenze dei due emisferi cerebrali, a detta di molti l'intelligenza spaziale sarebbe "l'altra intelligenza", contrapposta a quella linguistica, la prima si localizzerebbe nell'emisfero destro del cervello, mentre l'altra farebbe capo a quello sinistro, l'una operante in base a un codice di immagini, l'altra ad un codice verbale. Ampi studi di neuropsicologia sembrerebbero comunque accreditare l'ipotesi di una netta localizzazione delle diverse competenze, spaziali e linguistiche.

Un ulteriore aspetto della intelligenza spaziale è la sua caratteristica di totalità, una sorta di sensibilità gestaltica che può facilitare il riconoscimento di analogie tra forme disparate o anche fra campi dell'esperienza apparentemente lontani tra loro. Questo porta Gardner ad affermare che tale abilità metaforica di discernere somiglianze tra campi diversi deriva in molti casi da una manifestazione di intelligenza spaziale e ad annoverare tale capacità fra forme particolari di intelligenza di cui ci occuperemo più avanti.

Tenendo conto di tutte queste caratteristiche dell'intelligenza spaziale e dell'importanza dello sviluppo di tali competenze, l'immaginazione guidata potrebbe costituire uno stimolo in questo senso, sia come tecnica di affinamento delle capacità di visualizzazione e immaginazione che per l'attivazione di modalità tipiche dell'emisfero destro, anche a compensazione della predominanza dell'uso dell'emisfero sinistro durante le normali attività scolastiche.

Un'ulteriore interessante differenziazione nell'ambito della pluralità delle intelligenze è quella che riguarda le intelligenze personali. Questo importante aspetto della natura umana viene distinto da Gardner in una intelligenza intrapersonale e una interpersonale. La prima riguarderebbe lo sviluppo degli aspetti interni dell'individuo, l'accesso alla propria vita affettiva, "la capacità di discernere istantaneamente fra questi sentimenti e, infine, di classificarli, di prenderli nelle maglie di codici simbolici, di attingere a essi come mezzo di capire e guidare il proprio comportamento".[61] L'altro tipo di intelligenza personale è rivolto invece all'esterno, verso gli altri individui. Qui la capacità centrale è l'abilità di rilevare e fare distinzioni fra altri individui e, in particolare, fra i loro stati d'animo, temperamenti, motivazioni e intenzioni. Una sorta di capacità di empatia che permetterebbe di interagire nella maniera migliore con gli altri.

Nonostante le loro caratteristiche particolari, che le rendono più delle intelligenze con una funzione di supervisione sulle altre che delle abilità al pari di quella linguistica, logica o spaziale, le intelligenze personali sono state comunque incluse con le altre a formare il panorama della molteplicità delle esperienze. Gardner spiega la sua scelta innanzitutto con il fatto che anch'esse rispondono ai criteri prefissati per l'identificazione di capacità definibili come intelligenza, ma anche, ed è interessante sottolinearlo, perché l'autore crede che:

 "queste forme di intelligenza abbiano un'importanza grandissima in molte, se non in tutte le società del mondo, anche se quasi tutti gli studiosi della cognizione hanno presentato la tendenza ad ignorarle o a minimizzarle [...] Quali che ne siano le ragioni questa omissione ha però generato una visione dell'intelletto che è troppo parziale e che rende difficile capire gli obiettivi di molte culture e i modi in cui questi obiettivi vengono conseguiti."[62]

È un fatto, quindi, che ogni persona è un individuo unico che cresce però in un contesto sociale e la necessità di conoscere e guidare i propri sentimenti come quella di comprendere quelli degli altri per meglio interagire con loro è un aspetto ineluttabile della condizione umana, radicato nell'appartenenza alla nostra specie. Lo sviluppo delle intelligenze personali segue, in genere, un tipo di percorso relativamente naturale, spesso i modelli di relazione intrapersonali e interpersonali sono veicolati attraverso la famiglia, la scuola, l'ambiente ma anche dalla cultura e dalla religione, attraverso la letteratura, i miti, i riti o altre forme simboliche. In occidente il ricorso alla terapia psicologica si potrebbe ricondurre anche alla necessità degli individui di affinare le proprie capacità nell'ambito personale. Gardner afferma giustamente che non sappiamo come dovrebbe avere luogo idealmente l'istruzione nell'ambito personale. Questo non esclude però che un ambito di apprendimento esplicito e diretto delle competenze personali non sarebbe auspicabile.

In questo contesto di formazione delle intelligenze personali si potrebbe ipotizzare il contributo dell'immaginazione guidata nell'ambito della scuola. La possibilità di far emergere, attraverso le immagini, le componenti affettive della personalità, può costituire un utile esercizio di auto osservazione, di presa di coscienza dei propri sentimenti, una sorta di "alfabetizzazione emotiva" che possa rendere questo aspetto di sé più familiare al bambino, con l'acquisizione anche del lessico più appropriato per esprimerlo e comunicarlo agli altri. Questo potrebbe essere il contributo della fantasia guidata all'aspetto intrapersonale dell'intelligenza, ma anche quello interpersonale ne potrebbe trarre vantaggio. Il fatto di scambiare le proprie esperienze, con i contenuti affettivi che le caratterizzano, può incrementare la capacità di leggere l'emotività dell'altro, riconoscerne e rispettarne la diversità e la varietà, arricchire e rendere più profonda la capacità di relazionarsi. Tutto ciò, ovviamente, se l'esperienza rimarrà permeata delle sue caratteristiche ludiche e di grande libertà di espressione da parte dei bambini, una specie di "palestra delle emozioni" in cui esercitare divertendosi le proprie capacità di relazionarsi con se stessi e con gli altri.

Come già accennato precedentemente, un tipo di formazione di questo tipo è generalmente affidata alle normali esperienze di vita ed è difficilmente oggetto di una specifica attenzione, salvo che l'evidenza di disagi nella socializzazione o nel comportamento non richiedano un intervento specializzato. Eppure, come riconosce Gardner, "quanto meno una persona comprende i suoi propri sentimenti, tanto più facilmente potrà esserne dominata. Quanto meno una persona comprende i sentimenti, le risposte e il comportamento degli altri, tanto più probabile è che interagisca con loro in modo improprio, non riuscendo quindi ad assicurarsi il posto che le compete nella comunità più generale."[63] 

Data l'importanza di questo aspetto dello sviluppo si potrebbe forse ipotizzare un ambito di lavoro specifico anche all'interno dell'attività scolastica, tanto più che Gardner stesso colloca le capacità personali all'interno della varietà delle intelligenze e conferisce quindi loro lo statuto di abilità cognitive a tutti gli effetti. Abilità che possono essere insegnate ed apprese, certo con modalità diverse da quelle usate per la matematica o la storia, ma a cui potrebbe essere utile dedicare un'attenzione esplicita, non dandone per scontato il regolare sviluppo durante la crescita del bambino.

È evidente che l'occuparsi specificamente anche dello sviluppo in termini affettivi del bambino nella scuola comporterebbe una lunga serie di problemi dovuti soprattutto alla delicatezza della tematica e alla cautela e alla sensibilità necessari nell'approccio, non è facile, quindi, ipotizzare un ulteriore aggravio del lavoro degli insegnanti anche in questo senso. È comunque utile interrogarsi sull'opportunità o meno di ipotizzare un tale tipo di intervento e su quanto l'ostacolo maggiore potrebbe essere costituito da un punto di vista limitato nei confronti delle intelligenze personali, che le relega insieme a competenze automaticamente e naturalmente acquisibili, collocando quindi l'eventuale carenza di queste abilità nell'ambito del patologico.

Un ultimo ma non meno importante aspetto che Gardner espone nel suo studio sulle intelligenze multiple, è l'evidenza di alcune competenze che sembrerebbero sfuggire alla concezione di una relativa autonomia di intelligenze diverse. Doti come il buon senso, l'originalità, la saggezza, sembrerebbero costituire delle competenze al di sopra delle varie intelligenze osservate, con caratteristiche di globalità e non dipendenti da un settore particolare del cervello. Gardner le definisce "operazioni cognitive di livello superiore" e ne rimanda la più corretta collocazione ad un possibile approfondimento della materia.

Una di queste particolari abilità cognitive può essere messa in relazione con l'argomento di questa tesi. Si tratta della capacità di concepire metafore, un'abilità che pare contrastare più nettamente la concezione analitica delle intelligenze proprio per la sua caratteristica di integrare intelligenze diverse. La possibilità di percepire analogie fra campi intellettivi diversi, stabilire connessioni nuove, creare metafore illuminanti, è uno degli aspetti più apprezzati dell'intelletto e identifica spesso l'individuo cosiddetto geniale, è lecito quindi interrogarsi sulle possibilità di sviluppare tale attitudine con attività mirate allo scopo. Esercizi come quelli di fantasia guidata abituano all'uso del linguaggio analogico e metaforico e possono forse contribuire a sviluppare la cosiddetta intelligenza metaforica. Questo, insieme alle ipotesi di utilizzo della fantasia guidata illustrate precedentemente, costituisce un ulteriore stimolo alla verifica delle possibilità di questa tecnica in ambito formativo.

CAPITOLO IV

L'immaginazione guidata nell'ottica dei legami fra affettività e abilità cognitive, della relazione insegnante-alunno e di una possibile pedagogia degli affetti

Si sta sempre più sviluppando la consapevolezza che nell'incompetenza affettiva possano essere rinvenute le cause di disistima di sé, di una interpersonalità qualitativamente limitata, di disturbi della conoscenza e di difficoltà nell'apprendimento.

L'inscindibilità di processi emotivi e cognitivi è stata evidenziata da numerose fonti.

La ricerca psicobiologica ha posto in risalto che l'emozione rappresenta una delle componenti basilari della memoria, capace di attribuire maggiore o minore pregnanza ai ricordi in quanto l'appreso fa il suo ingresso nell'archivio della memoria inscindibilmente legato alle emozioni vissute durante l'apprendimento che, se negative, ne comprometteranno la successiva fruizione ed elaborazione.

Anche secondo Bloom [64] le variabili affettive esercitano un'azione notevole nel conseguimento dei livelli ottimali nell'apprendimento scolastico, sottolineando soprattutto la valenza positiva della motivazione, che trova appunto nell'affettività il suo terreno fertile.

In particolare la teoria psicoanalitica della conoscenza ha offerto una nuova prospettiva dalla quale considerare le difficoltà di apprendimento che, apparentemente legate a fattori razionali e consapevoli, sono in realtà la punta dell'iceberg di problematiche affettive e relazionali profonde.

I processi implicati nell'apprendimento sono strettamente analoghi a quelli del sistema digestivo: mettere dentro, digerire, assorbire, restituire, così che il vissuto relativo a tali esperienze nel rapporto madre-bambino nei primissimi anni di vita costituirà la base per tutte le analoghe esperienze successive, sia a livello mentale che emotivo o fisico.[65] 

In effetti, dalle indagini sulle prime fasi di vita del bambino e sui processi mentali concomitanti, si è potuto constatare come:

 "i pensieri da noi considerati superiori spesso nascono non solo a partire da fantasie sviluppate nella relazione con la madre, ma più specificamente ancora da fantasie fatte sul corpo e sulle funzioni corporee primarie sia del lattante che della madre e non siano altro che razionalizzazioni di esperienze primarie dimenticate. La capacità di pensare dipende allora dal sentire e dal capire ciò che ci accade dentro; noi possiamo davvero pensare solo se siamo in contatto con le nostre emozioni."[66]

Inoltre l'apprendimento sorge sempre in una situazione che implica incertezza, novità, un certo grado di frustrazione e delusione. Questa esperienza richiede sforzo e può essere dolorosa, se tale sofferenza non può essere tollerata si cerca di evitarla oppure la si affronta in modo onnipotente o con rabbia. In preda a sentimenti distruttivi che la mente non riesce a metabolizzare, spesso l'alunno si sbarazza del dolore trasferendolo sull'insegnante e una mente che funziona in modo proiettivo non solo indebolisce le sue potenzialità cognitive, ma crea un disturbo relazionale.

Anche in questi casi il rapporto madre-bambino, come relazione di insegnamento-apprendimento per eccellenza, ha delle analogie con quella insegnante alunno. La funzione di contenimento (holding) delle emozioni distruttive che la madre assolve nei primi tempi di vita del bambino[67], è analoga al compito dell'insegnante di fungere da contenitore temporaneo dell'angoscia eccessiva degli studenti, restituendo una risposta bonificata dall'angoscia, quindi l'esempio di una mente che pensa a contatto con le proprie emozioni e la fiducia di poter trarre frutto anche dai sentimenti negativi.

Si va suggerendo quindi una riabilitazione delle emozioni, non più ritenute "il guastafeste del comportamento", anzi, oltre a riconoscerne la inscindibilità dalle attività di pensiero, se ne sta rivalutando il ruolo primario nei processi di costruzione del Sé, nonché quello di guida nelle attività conoscitive e in quelle comportamentali dell'essere umano.

Soprattutto il collegamento tra affettività e moralità e il riconoscimento che il comportamento morale verso gli altri e la comunicazione tra individui hanno radici affettive, sta sollecitando la realizzazione di progetti ed esperienze di educazione all'empatia, per uscire dall'autoreferenzialità, riconoscere l'altro come "altro da sé" e porre le premesse per comportamenti cooperativi e prosociali.

Gardner ha riconosciuto alle intelligenze intrapersonale e interpersonale un ruolo primario nello sviluppo dell'individuo e una posizione analoga è sostenuta da Goleman[68] quando ravvisa la necessità di equilibrare la razionalità con la compassione e di prestare maggiore attenzione alla competenza interpersonale ed emozionale.

Da tutte queste osservazioni che provengono dalla psicoanalisi, ma anche da altre scienze umane, il discorso pedagogico e didattico è stimolato a ripensare il capitolo dell'educabilità umana e a ridisegnare quindi il ruolo della scuola e la mappa dei compiti dell'insegnante nell'ottica del superamento del dualismo mente-affetti, non più sostenibile scientificamente e infecondo sul piano della prassi.

La scuola dovrà recuperare il notevole ritardo con cui ha riconosciuto che "l'educazione del cuore è il cuore dell'educazione"[69] ed avviare un ripensamento delle priorità che hanno guidato finora i programmi educativi. Questi sono stati caratterizzati in gran parte dalla svalutazione e dalla conseguente atrofizzazione dell'emisfero cerebrale destro, particolarmente deputato ad attivare e presiedere processi immaginativi e creativi, affettivi ed estetici, intuitivi e sintetici. "Il pensiero è stato privilegiato in una prospettiva di formazione in una società conoscitiva e tecnologica e per la società conoscitiva e tecnologica ; l'ideale educativo è stato rappresentato dall'uomo di ragione; il potere personale da sviluppare è stato quello dell'intelligenza razionalistica e tecnica."[70] 

 La rivalutazione, con la conseguente ricollocazione della sfera affettiva al centro delle strategie educative, si muove parallelamente all'allargamento e approfondimento del compito dell'insegnante, "non più solo erogatore di informazioni e trasmettitore di conoscenze, programmatore e valutatore, ma anche facilitatore dell'apprendimento dell'alunno, professionista capace di sostenerlo e di accompagnarlo affettivamente lungo il cammino della crescita"[71] e quindi in grado di decifrare l'universo affettivo dell'educando, leggere le dinamiche affettive interpersonali e di gruppo presenti nel processo di insegnamento-apprendimento e gestire i fenomeni affettivi inerenti a tale processo.

È nell'ottica di questa riconsiderazione e ricollocazione del ruolo dell'affettività nel processo formativo e di apprendimento che la fantasia guidata può costituirsi come uno dei molteplici strumenti di cui un tale progetto educativo si potrebbe valere. Potrebbe costituire, quindi, un ambito di lavoro specificamente ed intenzionalmente volto all'attivazione di funzioni specifiche dell'emisfero destro, di presa di contatto e consapevolezza dei propri contenuti emozionali, di interscambio con altri sulla base di tali contenuti e quindi fuori dagli schemi di valutazione, competitività e autoreferenzialità che caratterizzano spesso le dinamiche all'interno della classe.

Si può supporre che le competenze intrapersonali e interpersonali trovino nella pratica dell'immaginazione guidata un adeguato ambito di sviluppo ed è possibile che, col tempo, si possano registrare nei bambini o nei ragazzi maggiori livelli di consapevolezza delle proprie emozioni, di capacità di comunicarle, di interpretare correttamente quelle degli altri e stabilire rapporti caratterizzati da maggiore empatia.

Anche per l'insegnante l'immaginazione guidata potrebbe costituire l'opportunità di fondare con gli alunni relazioni qualitativamente più profonde, sperimentando il linguaggio dell'immaginario per comunicare fantasie e stati d'animo.

Proprio la sintesi fra l'uso di tali canali di comunicazione, normalmente poco sviluppati, e l'elaborazione dei contenuti emotivi, che raramente trovano adeguata collocazione in ambito scolastico, può costituire uno dei possibili strumenti per un progetto educativo nuovo, che contempli lo sviluppo armonioso dell'individuo nella sua globalità.

CAPITOLO V

Cinque incontri con la classe IV A presso la scuola elementare

Marchiafava di Maccarese

Lunedì 14 gennaio: primo incontro.

La classe è composta da 23 bambini di cui, al momento, 21 presenti. Una bambina di nome Happy è indiana ed è stata inserita molto recentemente nella classe, non parla inglese né italiano, in genere segue le attività della classe per imitazione e così sarà anche durante questa esperienza. Ci sono anche due bambini, Sabrina e Roberto, che sono seguiti da un insegnante di sostegno, al momento non presente, per handicap di tipo psicologico dovuto a non meglio precisate problematiche in ambito famigliare.

L’incontro con la classe e con la maestra Sabrina avviene alle 14.20 nel cortile della scuola dove i bambini stanno facendo ricreazione. Con la maestra ci siamo già accordate riguardo alla frequenza e alle modalità dei miei interventi nella sua classe e lei si è dimostrata molto disponibile.

Arrivati in classe mi sono presentata brevemente ai bambini spiegando loro che necessitavo del loro contributo per svolgere una ricerca sulla fantasia guidata. Loro si sono dichiarati disposti a collaborare e quindi ho iniziato a introdurre il lavoro da svolgere. Ho spiegato che li avrei aiutati a rilassarsi e poi avrei letto un racconto che loro dovevano ascoltare possibilmente ad occhi chiusi e fare come se fosse un sogno, immaginando di essere i protagonisti delle vicende che avrei raccontato. Ho precisato che avrei fatto delle pause, durante la lettura, per dare loro modo di seguire la propria fantasia nelle situazioni che man mano avrei suggerito. Ho detto inoltre che era importante immaginare bene le sensazioni, vedere i colori, sentire i suoni, gli odori, i sapori, le sensazioni tattili, se ce ne fossero. Al termine avrebbero potuto disegnare la loro storia e, se lo desideravano, raccontare cosa avevano provato. Ho sottolineato come niente di ciò che avrebbero immaginato sarebbe stato giudicato negativamente, anzi, che non c’era niente che potesse essere considerato “sbagliato”.

Ho chiesto loro se si sentivano comodi e pronti per iniziare, poi, quando si sono sistemati e hanno chiuso gli occhi, ho cominciato a guidare un breve rilassamento. Ho suggerito di stringere forte i pugni e poi di rilassarli, di fare due grandi respiri cercando di far uscire tutta l’aria dal torace, poi di contrarre forte le dita dei piedi e dopo qualche secondo di rilassarle, di fare altri respiri profondi, di strizzare forte occhi e bocca come in una smorfia, di rilassare e poi respirare di nuovo profondamente e a lungo, di sentire una sensazione di calore e prepararsi ad ascoltare il racconto e immedesimarsi nella situazione.

Ho cominciato a leggere il testo.

“Chiudete gli occhi e fate attenzione al vostro respiro. Inspirate ed espirate dolcemente e tranquillamente, e immaginate di stare uscendo da questa stanza e di andare fuori in cortile. Là trovate la vostra astronave che voi stessi avete progettato e costruito. Salite sull’astronave e vi preparate al decollo. (Pausa)

Dieci… nove… otto… sette… sei… cinque… quattro… tre… due… uno… accensione! Decollate dolcemente salendo oltre le nuvole… oltre l’atmosfera della Terra, su nello spazio. E quando guardate indietro verso la Terra, la vedete come una palla o una sfera che si allontana da voi. Scegliete un pianeta o una stella da esplorare e dirigetevici con l’astronave. Quando atterrate, decidete di esplorare questo pianeta o stella e di venire a sapere quanto più potete sulla vita delle sue creature, se ve ne sono. Potete, se volete, fare amicizia con una delle creature e farvi mostrare i luoghi dal vostro nuovo amico. Osservate come comunicano, come vivono e qual è l’aspetto del loro pianeta o stella. Notate odori, suoni e sapori e come vi muovete su questo pianeta. (Pausa)

Ora vi darò due minuti di tempo, cioè tutto il tempo che vi occorre, per esplorare questo pianeta. Quando udrete nuovamente la mia voce, vi starò chiamando perché torniate sulla Terra. (Pausa di 2 minuti)

Ora salutate il vostro amico, salite sull’astronave e dirigetevi verso la Terra. (Pausa) Mentre vi avvicinate alla Terra, questa comincia ad apparirvi sempre più grande. Rientrate nell’atmosfera terrestre… attraversate le nuvole… e nell’avvicinarvi alla Terra individuate facilmente la vostra casa e la vostra scuola. (Pausa)

Ora atterrate con l’astronave… ritornate in quest’aula… e vi accorgete di essere seduti qui. Fra un istante conterò fino a cinque. Quando siete pronti aprite gli occhi, ricordando in ogni dettaglio tutto ciò che riguarda la vostra esperienza. Avrete il tempo di disegnare o scrivere sul vostro viaggio. Uno… due… tre… quattro… cinque.”[72]

Al termine della lettura hanno aperto gli occhi e, dopo pochi secondi, alcuni sembravano desiderosi di raccontare l’esperienza e iniziavano a parlarne tutti insieme, quindi ho suggerito loro di disegnare tutto quello che avevano visto prima di parlarne, altrimenti a qualcuno, nel frattempo poteva sfuggire qualcosa e, come nei sogni, poi sarebbe stato difficile ricordare, poi avrebbero avuto tutto il tempo per scambiarsi le esperienze.

Ho dato circa 30 minuti di tempo per i disegni, poi man mano che qualche bambino finiva e voleva raccontare, poteva farlo. Io sono andata presso ognuno per vedere meglio i disegni che loro, di volta in volta, spiegavano. Ho cercato di fare in modo che ciascuno non parlasse solo a me ma che anche gli altri potessero ascoltare e in alcuni casi ho dovuto chiedere un po’ più di silenzio per non essere la sola interlocutrice. Comunque i bambini sembravano potersi più facilmente coinvolgere con il racconto del proprio vicino di banco e a coppie si svolgevano vari commenti.

Avevo specificato che potevano anche scrivere, oltre che disegnare, così alcuni hanno aggiunto didascalie e spiegazioni ai disegni.

Quasi tutti hanno incontrato degli esseri viventi sul pianeta esplorato, qualcuno ci ha incontrato personaggi dei videogiochi (Gianluca, Mohamed), altri hanno fatto amicizia con esserini di forma animale (Vera, Alessandro, Marco S.), parecchi hanno incontrato altri umani oppure compagni di classe (Sara T., Fabio, Teresa, Stefano, Marco B., Valentina F.), cinque bambini hanno fatto amicizia con veri e propri alieni (Lorenzo, Silvestro, Giulia P., Simona O. e Valentina S.). Happy ha fatto un disegno non in tema perché non aveva potuto seguire, infine tre bambini non hanno incontrato nessuno, Marco, che mi ha voluto spiegare con molti particolari tecnici il suo viaggio, Roberto e Sabrina, che hanno avuto invece grosse difficoltà ad esprimersi e che quindi non ho forzato.

Alcuni bambini hanno seguito il suggerimento di assaggiare i cibi alieni (Fabio, Sara T., Lorenzo, Silvestro, Giulia, Vera, Marco, Alessandro), mentre altri particolari sulla vita del pianeta emergono meno. Molti bambini hanno sentito la necessità di dare nomi, al pianeta, all’amico alieno, a mostri, case o cibi. Alcuni hanno aggiunto veri e propri commenti scritti, altri solo didascalie, altri ancora nulla.

Sembravano contenti di ripetere l’esperienza il lunedì successivo e ci siamo salutati al momento di uscire dalla scuola.

Lunedì 28 gennaio: secondo incontro.

Sono presenti 22 bambini, tutti tranne Happy, ci sono quindi anche i due bambini che mancavano la volta precedente, cioè Simone e Giulia S., i quali sembrano essere stati ampiamente informati dai compagni sull’esperienza e sembrano ansiosi di provare anche loro.

Quando arrivo all’appuntamento in cortile, durante la ricreazione, una delle maestre che è la mamma di Lorenzo, mi riferisce che il bambino le ha parlato tanto del viaggio immaginario in astronave e con molti particolari, in effetti io ricordo il suo disegno particolarmente ricco di dettagli. Due bambine, Sara F. e Teresa, mi vengono incontro e vogliono sapere perché sono mancata la volta precedente (la maestra Sabrina era malata) e sono ansiose di sapere cosa faremo questo pomeriggio. Io spiego loro i motivi dell’assenza e il programma del giorno, poi le due bambine mi raccontano un po’ di loro, della loro famiglia e chiedono molte cose di me.

Arrivati in classe spiego la fantasia guidata ai bambini che non c’erano approfittando per precisare qualcosa sul rilassamento e la posizione da assumere anche per gli altri.

Spiego poi che chiederò loro di immaginare di essere un albero e di cercare di percepire più sensazioni che sia possibile, sia corporee che emotive, di cercare di capire che tipo di albero sono, con quali caratteristiche, e come si sentono in quella situazione.

Poi inizio il rilassamento e la lettura.

“Fate tre respiri profondi e permettete al vostro corpo di rilassarsi… Ora lasciate uscire la tensione… Richiamate alla mente l’immagine di un albero… Non deve essere necessariamente un albero a voi familiare… Cercate di creare voi stessi il vostro albero… Come vi pare?… Com’è il suo fusto?… Come sono i rami e le foglie?… Cosa provate nei suoi confronti?… Ora, nell’immaginazione, provate a trasformarvi nell’albero… Non vedete voi stessi nell’albero, siete l’albero… Cosa riuscite a vedere attorno a voi?… C’è gente?… Come è il tempo?… Provate a sentire la temperatura e verificate se c’è vento o brezza… Cosa provate ad essere l’albero?… Siate consapevoli del vostro tronco… Com’è la parte esterna del vostro tronco?… Cosa avverte la vostra corteccia?… Cosa è successo alla vostra corteccia durante gli anni?… Prendete coscienza di ciò che sta avvenendo all’interno del vostro tronco… Come vi sentite dentro?… Come sono i vostri rami e le foglie, se ne avete?… Cosa provate nei confronti delle vostre foglie e dei rami?… Ora scendete fino alle radici… Cosa sta succedendo alle vostre radici?… Ora uscite dall’albero e tornate voi stessi… Date un’occhiata all’albero e prendete coscienza dei vostri sentimenti e dei vostri pensieri…Ora trovate un modo di salutare il vostro albero… Respirate più profondamente e, quando vi sentirete pronti, fate ritorno dolcemente il aula.”[73]

Alla fine della lettura i bambini hanno aperto gli occhi e, alcuni già commentando un po’, altri in silenzio, hanno iniziato a disegnare.

Io ho precisato che qualsiasi sensazione non fosse facilmente rappresentabile poteva essere scritta con o senza disegno. Tutti hanno preferito disegnare piuttosto che scrivere, ma alcuni hanno aggiunto spiegazioni scritte (Teresa, Giulia s., Simone, Giulia P., Marco S., Sara T., Stefano, Valentina, Marco V., Lorenzo, Vera, Simona). Altri hanno aggiunto solo didascalie tipo fumetto (Marco B., Fabio, Gianluca, Alessandro) gli altri sei bambini non hanno aggiunto alcuna scritta. Quasi tutti, tranne Roberto e Sabrina, hanno disegnato gli alberi con caratteristiche antropomorfe, occhi, bocca, rami che fungono da braccia. Alcuni hanno rappresentato l’albero con atteggiamenti aggressivi oppure benevoli, altri con stati d’animo evidenti, per esempio sorridenti oppure piangenti, o anche malati ma poi curati.

Alcuni bambini hanno ricordato di rappresentare anche il momento del saluto dall’albero, a volte anche con scritte esplicative.

Fra i commenti scritti:

“Era primavera e io ero pieno di fiori. Mi sentivo osservato ma ero felice. Le mie radici piccole piccole sotto terra stavano crescendo. L’ho salutato prendendo una sua foglia caduta e riattaccandogliela.” (Giulia P.)

“Mi sentivo rilassato e un po’ cattivo.” (Simone)

“Io ho salutato l’albero sbattendo i piedi.” (Marco S.)

“Il mio albero era molto vecchio ed era una quercia. Le radici erano consumate. Io mi sentivo molto pesante e vecchio. Era un albero gigantesco! E aveva una chioma piena di foglie ma senza frutti. C’era un sole caldo di primavera con un po’ di nuvole e sono stato molto bene. L’ho salutato con la mano andandomene molto soddisfatto.” (Lorenzo)

“L’albero piangeva e quindi l’hanno mandato via dalla fattoria” ha commentato a voce Giulia S.

Lunedì 4 febbraio: terzo incontro.

I bambini presenti sono venti, mancano, oltre a Happy anche Simone, che mancava già la prima volta, e Alessandro. Sono tutti ansiosi di sapere che cosa dovranno immaginare questa volta, mi fanno tante domande e io spiego che si tratta di immaginare di trovarsi in un luogo sicuro e tranquillo dove loro possono sperimentare un senso di serenità e di protezione.

Chiedo loro di rilassarsi accennando appena le procedure sperimentate le volte precedenti, : stringere i pugni e poi rilassare, lo stesso con i piedi e poi con la faccia, fare i respiri profondi. Sembrano un po’ più distratti, qualcuno rimane un po’ più a lungo ad occhi aperti, quando mi sembrano tranquilli comincio a leggere il testo.

“Ora immaginate di viaggiare attraverso lo spazio e il tempo fino a trovare il luogo che è un rifugio per voi… Il rifugio è sicuro, semplice e bello… Può essere situato nella natura, sulle colline o vicino al mare, nei boschi, in un prato o in una città, può anche essere a casa vostra, nella vostra stanza, oppure in qualsiasi luogo di vostra scelta in cui vi sentite sicuri e protetti… Dove si trova il vostro rifugio?… Come è fatto dentro?… Cosa si prova a stare nel rifugio?… Potete invitare qualcuno nel rifugio, se vi fa piacere, oppure godervele da soli… Ora vi darò un paio di minuti di tempo per stare tranquillamente nel rifugio con una sensazione di sicurezza e di protezione.… Ora è arrivato il momento di lasciare il rifugio… guardatelo ancora una volta… pensate che potete tornarci ogni volta che vorrete… poi tornate pian piano qui in classe.”[74]

Al termine, questa volta iniziano tutti a disegnare, sono un po’ più silenziosi, poi man mano che fanno il disegno, si alzano loro uno alla volta per chiedere se come stanno facendo va bene, se si capisce cosa volevano dire, se possono scrivere spiegazioni.

Praticamente tutti si alzano almeno una volta per chiedere chiarimenti, per spiegare a loro volta e per essere rassicurati sui disegni, poi, sempre uno ad uno, quando finiscono vengono a consegnarli.

In alcuni casi il disegno è stato inteso come un luogo da cui combattere altri (spesso femmine contro maschi) oppure per difendersi da attacchi., come, per esempio, nei disegni di Mohamed, Vera, Marco B., Silvestro, Marco S., Stefano, Valentina F., Marco V. A molti è piaciuto immaginare il rifugio come una casetta sugli alberi, probabilmente cogliendo un mio suggerimento durante l’introduzione dell’immaginazione di oggi, così è stato per Giulia, Sara T., Roberto, Gianluca e Fabio; Simona ha rappresentato un castello, Sara F. una casa su una nuvola, Valentina S. un tronco d’albero, Teresa una bolla nello spazio, Giulia addirittura una bottiglia, Sabrina una casa normale e Lorenzo una casetta nel bosco.

Alcuni hanno coinvolto amici, altri hanno invitato animaletti, qualcun altro ha preferito immaginarsi da solo (Giulia, Fabio, Roberto, Marco V., Marco B., Mohamed e Sabrina).

I bambini hanno preso ormai molta confidenza, mi chiedono se è vero che ci vedremo ancora solo due volte, se il lunedì 18, l’ultimo, è vero che è il compleanno mio e anche della maestra Sabrina. Una di loro, Giulia, mi regala un disegno fatto da lei, Marco V., che ha molti problemi riguardo all’immagine di sé, come mi ha spiegato la maestra, tenta di attirare la mia attenzione differenziandosi dagli altri facendo un disegno in più o con qualche particolare insolito.

Alcuni mi chiedono se poi restituirò loro i disegni, io rispondo che cercherò di riportarli prima della fine della scuola, ma altri dicono che li posso anche tenere, però che devo passare a salutarli e a riferire come è andata con la mia tesi.

Ci salutiamo, come al solito all’uscita dalla scuola.

Lunedì 11 febbraio: quarto incontro.

Chiedo alla maestra di iniziare con qualche minuto di anticipo perché il lavoro di oggi è un po’ più complicato e, mentre lasciamo il cortile, quando i bambini mi chiedono di che cosa si tratterà, rispondo che stavolta preferisco non anticipare nulla e spiegare tutto in classe, in modo che ognuno possa ascoltare.

Arrivati in classe comincio a descrivere l’esperienza, spiegando che questa volta non si tratterà tanto di immaginare cose concrete, quanto principalmente di percepire sentimenti, emozioni, stati d’animo relativi a se stessi. Mostro i cartoncini tondi che ho già ritagliato e diviso con la matita in quattro spicchi, stavolta il disegno sarà fatto lì, a simboleggiare una specie di scudo, di stemma, come lo avevano una volta i nobili, i cavalieri (qualcuno suggerisce “come Henry Potter”), un emblema di ognuno di loro che lo rappresenti sotto quattro diversi aspetti: la sua più grande qualità, la sua paura, il suo sogno per il futuro e come pensa di realizzarlo.

Sono tutti un po’ sconcertati e hanno bisogno di molte spiegazioni, ad esempio, per ciò che significa ognuno degli aspetti, quindi cerco di spiegare che la qualità è ciò che in loro li rende particolarmente soddisfatti, che può essere un aspetto del carattere, una capacità particolare, il saper svolgere bene un’attività o qualsiasi cosa per cui siano contenti di sé. Silvestro mi chiede se la paura può essere anche di una cosa che deve venire o immaginaria, così dico che può essere la paura di qualsiasi cosa, anche irreale, purché rappresenti effettivamente il loro peggiore timore. Il sogno per il futuro può essere ottenere qualcosa, o diventare in un certo modo, o fare un’attività, in ogni caso deve corrispondere ad un loro grande desiderio per il futuro e può coinvolgere anche la famiglia o gli amici, inoltre devono cercare di immaginare anche cosa è necessario fare per ottenere ciò che sognano.

Sono ancora un po’ preoccupati, soprattutto di non ricordare tutti questi aspetti durante l’esercizio, ma li rassicuro che leggerò il testo lentamente e spiegando man mano di nuovo. Temono di non sapere rappresentare tutti questi stati d’animo nei disegni e qui cerco di spiegare che possono usare immagini simboliche di emozioni, paure o desideri, quindi oggetti, animali, colori, forme che per loro abbiano a che vedere con quelli.

Dopo molti altri quesiti inizio il rilassamento, per questo chiedo che, se possibile, non si stendano col busto sul banco, ma cerchino di rimanere seduti a busto eretto per evitare che la posizione piegata induca emozioni pesanti. Gran parte dei bambini ci prova ma qualcuno si trova in difficoltà e io mi pento di non averglielo proposto fin dal primo incontro. Finalmente si sistemano e inizio a leggere.

“Bene. Ora continuate a respirare al vostro ritmo e concentratevi su un punto al centro della fronte tra gli occhi chiusi. Immaginate in questo punto un cerchio che comincia a espandersi lentamente a ogni vostro respiro. Mentre continuate a respirare, il cerchio comincia a crescere, diventando sempre più grande, finché voi e il cerchio siete una cosa sola. (Pausa)

Ora nel cerchio cominciate a vedere, percepire o sentire immagini che rappresentano le vostre capacità o qualità. Possono essere effettive capacità fisiche o mentali, capacità artistiche o musicali, o capacità di comunicare. Osservate che cosa vi fa essere soddisfatti di voi stessi. (Pausa di 1 minuto)

Ora cominciate a vedere, percepire o immaginare le vostre paure. Siano queste piccole o grandi, voi siete perfettamente al sicuro qui in questo momento. Si può trattare di ostacoli che state affrontando nella vita attuale o di paure che riguardano il futuro. (Pausa di 1 minuto)

Ora cominciate a vedere, percepire o immaginare i sogni che riguardano il vostro futuro o quello dei vostri cari. Come desiderate vivere la vostra vita? (Pausa di un minuto)

Ora, nell’ultima parte del cerchio, cominciate a vedere, percepire o immaginare ciò che voi e gli altri farete per realizzare i vostri sogni. Quali misure prenderete? (Pausa di 1 minuto)

Fra un istante conterò fino a dieci. Quando arriverò a sei contate ad alta voce con me, aprendo gli occhi al dieci, pronti a disegnare le figure immaginate che riguardano le vostre capacità, le vostre paure, i vostri sogni e le misure necessarie per realizzare i vostri sogni. Uno… due… tre… quattro… cinque… sei… sette… otto… nove… dieci.”[75]

Alla fine della lettura, dopo qualche secondo di silenzio, sono subissata di domande su come rappresentare ciò che hanno immaginato.

Valentina F: mi spiega che vuole diventare dottoressa per curare la madre che è malata e mi chiede come rappresentare lei che svolge questa professione, suggerisco qualcosa che abbia a che vedere con un ospedale. Alessandro vuole diventare uno che costruisce molte cose e ha difficoltà a rappresentare l’atteggiamento di duro lavoro che gli consentirà di realizzare il suo sogno, concordiamo di simboleggiarlo con un animale che lui ritiene molto operoso e lui sceglie lo scoiattolo, che è anche l’animale con il quale lui si identifica sempre. Sara F. non riesce a rappresentare la paura dei ladri, poi ricorda che ha anche paura del diavolo, così disegna una maschera e un tridente. Sara T. disegna una sedia per rappresentare la sua qualità ma non mi sa spiegare perché, il suo sogno per il futuro è diventare grande e lo simboleggia con una figura geometrica, il modo per ottenere il desiderio è rappresentato da un cuore.

La maggior parte dei bambini identifica la propria maggiore qualità con un’attività sportiva, tranne Alessandro (amicizia), Giulia (bontà), Giulia S. (“salvamondo”), Valentina S. (bontà) e Teresa (capacità di amare).

Roberto desidera diventare un gatto (che è presente anche nel disegno del rifugio e dell’astronave), lascia per ultimo lo spazio per la qualità, quando gli chiedo come mai sia in bianco lui dice che non ne trova, sembra fare fatica a capire che il concetto si possa riferire a lui, elenco tante possibilità dicendo che sicuramente una di quelle sarà il suo migliore attributo ma lui è indeciso e imbarazzato, viene in soccorso la compagna di banco e lui riconosce di essere bravo al calcio, così disegna un pallone.

La paura è rappresentata nella maggior parte dei casi da “ladri” o “assassini” (9 bambini), oppure da eventi naturali come temporali o terremoti (7 bambini). Marco S. ha paura della guerra, Silvestro di quando tirano le punizioni al calcio, Valentina F. dell’allergia e Vera non ha paura di nulla.

Il sogno da realizzare è spesso legato alla qualità, in generale, e soprattutto se si trattava di un’abilità nello sport (cinque bambini), ma ci sono anche il desiderio di un castello, di diventare un gatto, di costruire cose, di avere un aereo telecomandato, di campeggiare con le amiche, di diventare pompiere, dottoressa, di avere un cavallo, una casa su un albero, una buona pagella, di incontrare un angelo, di diventare grande, la pace nel mondo, il benessere per la propria famiglia.

La difficoltà maggiore è stata incontrata nella rappresentazione di come raggiungere il proprio sogno e su questo ho cercato di aiutare i bambini a trovare un’immagine che rendesse l’idea dell’atteggiamento necessario alla realizzazione del desiderio, in qualche caso i bambini hanno preferito scrivere.

Lunedì 18 febbraio: quinto incontro.

Sono presenti 20 bambini, mancano Alessandro e Simone, tutti sanno che è il mio compleanno e anche quello della maestra, appena entrata in classe mi cantano la canzoncina di auguri, alcuni mi baciano, due bambine mi hanno fatto i regalini, un’altra un disegno. Sono ansiosi di sapere cosa faremo oggi così, quando si sono calmati, ho spiegato che la fantasia tratterà dell’incontro con un essere molto saggio e in grado di aiutarli che avverrà in un bosco. Specifico che questo personaggio potrà essere sia una persona che un animale oppure un essere fantastico purché abbia il requisito di essere molto saggio, preciso anche che, visto che qualcuno si sta già mettendo d’accordo per immaginarsi a vicenda, che è preferibile usare un personaggio sconosciuto, o almeno non un compagno di scuola.

Guido un breve rilassamento e poi inizio a leggere il racconto.

 “Chiudete gli occhi e concentrate l’attenzione sul respiro che entra e esce dalle narici. Mentre continuate a respirare secondo il vostro ritmo, immaginate di trovarvi in un sentiero di una foresta molto fitta. Tutt’intorno vi sono begli alberi verdi, e voi andate lungo questo sentiero verso un rumore di acqua. Giungete a un piccolo ruscello, vi sporgete sull’acqua e guardate la vostra immagine riflessa. (Pausa)

Presto avvertite un’altra presenza vicino a voi e vi sentite perfettamente tranquilli. Vedete che un’immagine riflessa si unisce nell’acqua alla vostra. Quest’altra presenza può essere quella di un vecchio saggio, di un animale o di una creatura immaginaria che sentite come un vostro alleato: qualcuno che conoscete da molto tempo, qualcuno di cui potervi fidare. Il vostro alleato vi fa segno di seguirlo oltre un ponticello che attraversa il ruscello. Voi lo seguite e vi trovate ad arrampicarvi su una collina che porta a una caverna. Il vostro alleato entra nella caverna, si siede e vi fa cenno di seguirlo. Voi entrate nella caverna e vi sedete, e il vostro alleato comincia a parlarvi di voi. (Pausa di 1 minuto)

 È possibile che abbiate una domanda particolare che desiderate fare al vostro alleato, e ora gliela fate. Ascoltate attentamente la risposta. (Pausa di 1 minuto)

Il vostro alleato vi dice che potete tornare in qualsiasi momento desiderate. Sarà sempre lì ad aspettarvi per aiutarvi per qualsiasi cosa vi occorra. Ringraziate l’alleato, lo salutate e lui, prima che ve ne andiate, fa scivolare un piccolo dono nella vostra tasca . Ripercorrete il sentiero superando il ponte e lì vi fermate ad osservare il dono del vostro alleato. Guardate ancora una volta la vostra immagine riflessa nell’acqua e poi riprendete il sentiero. Notate come vi sentite nel percorrere la strada del ritorno, poi uscite dalla foresta e vi rendete conto di essere seduti qui, pienamente presenti. Contate mentalmente fino a tre e aprite lentamente gli occhi.”[76]

Al termine della lettura i bambini cominciano a disegnare e a scambiare commenti. A me chiedono soprattutto quale parte della fantasia è meglio rappresentare, io suggerisco che scelgano loro il momento più rappresentativo, o anche più di uno.

Chiedo se il saggio ha parlato di loro ma praticamente nessuno sembra ricordare cosa ha detto, riguardo alla possibilità di fare all’alleato una domanda solo pochi dicono di aver approfittato di ciò, e solo due riferiscono di che si tratta, Teresa ha chiesto protezione per la sua famiglia, Stefano ha chiesto di potersi fidanzare con la bambina del cuore.

I bambini oggi sono particolarmente turbolenti e poco concentrati, forse un effetto dell’atmosfera di festa per i due compleanni. Molti disegni non sono colorati, oppure sono poveri di particolari rispetto a quelli precedenti. L’alleato interno è stato rappresentato come uno gnomo, un gatto, una fatina, un mago potente, una vecchia saggia, un albero, una bella ragazza, una goccia, un’aquila, un vecchio barbone, un fantasmino.

Prima di terminare ho chiesto ai bambini quale fosse stata, durante tutte le cinque esperienze di fantasia guidata, la maggiore difficoltà incontrata. Molti hanno trovato difficile mantenere il livello di attenzione richiesta senza perdersi in catene associative proprie. Altri dicono di aver trovato difficoltà nel rappresentare quello che avevano immaginato, soprattutto nell’immaginazione del cerchio.

Ho chiesto anche cosa era loro piaciuto di più in tutta questa esperienza e molti di loro pare abbiano gradito la fantasia del cerchio, proprio quella che hanno trovato anche molto difficile, ad alcuni è anche piaciuta la fantasia dell’albero o quella del rifugio.

Al termine ho regalato a ogni bambino dei dolcetti e li ho salutati promettendo che tornerò prima della fine dell’anno a raccontare come è andata e restituire i disegni.

CAPITOLO VI

Commenti ai disegni dei bambini

L'esperienza con i bambini della scuola Marchiafava è stata purtroppo molto limitata nel tempo a causa delle difficoltà di conciliare gli incontri con la mia attività lavorativa. Non è sicuramente quindi possibile valutare una risposta dei bambini che abbia un riflesso nelle attività didattiche, nell'apprendimento, nel livello di attenzione o nella capacità di empatia, come ipotizzato e riscontrato nelle esperienze che hanno avuto luogo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Probabilmente, risultati di questo tipo possono forse essere osservabili solo dopo un prolungato esercizio con l'immaginazione guidata.

L'alternativa per registrare più facilmente dei cambiamenti dovuti all'attività proposta, potrebbe consistere nel limitare drasticamente il numero dei bambini in modo da poterne osservare più dettagliatamente e fedelmente le reazioni, permettere un interscambio diretto fra tutti i partecipanti e tenere meglio conto delle caratteristiche individuali di ogni bambino. Purtroppo né un lavoro prolungato nel tempo né un'attività circoscritta a pochi bambini sono stati possibili in questo caso, quindi dovremo limitarci a prendere in esame il materiale raccolto e a cercare di dedurre da questo il grado di coinvolgimento mostrato dai bambini ed, eventualmente, le dinamiche osservabili. La possibilità di esiti di più ampia portata rimarrà esclusivamente a livello di ipotesi.

Il limitato numero di incontri ha determinato anche il criterio di scelta dei vari esercizi di fantasia guidata da proporre, infatti, vista la necessaria brevità dell'esperienza, si è voluto mettere i bambini di fronte a richieste di attenzione, percezione ed elaborazione via via più complesse, tentando di concentrare in pochi incontri un percorso che avrebbe richiesto sicuramente un tempo più ampio, ma che, ponendo i bambini di fronte a richieste piuttosto elevate, può avere evidenziato comunque elementi di un certo interesse.

La prima esperienza di immaginazione guidata che è stata proposta consisteva in un esercizio piuttosto semplice, il viaggio in astronave, durante il quale non c'era alcuna diretta allusione a stati emotivi, aspettative, desideri, stati d'animo. Tutta l'esperienza era volta a sottolineare i dati sensoriali, l'attenzione era chiamata a volgersi quasi esclusivamente ai cinque sensi, con immagini visive, percezioni di suoni, odori, sapori e sensazioni tattili. Nonostante la semplicità dell'esercizio, sulla base di questo tipo di immaginazioni guidate si potrebbe lavorare a lungo, sulla padronanza delle tecniche di rilassamento, sulla capacità di visualizzazione e soprattutto sull'approfondimento delle percezioni sensoriali, anche nell'ottica dell'identificazione delle modalità sensoriali privilegiate per ogni bambino.

Proposto in una singola occasione, l'esercizio ha riscosso comunque un grande interesse nei bambini. Forse per la novità dell'esperienza, o anche per il tipo di immagini proposte, con una storia semplice e divertente, il coinvolgimento dei bambini è stato notevole e i disegni lo riflettono in gran parte. Tutti hanno disegnato con molti colori e particolari, la maggior parte di loro ha anche aggiunto commenti scritti. Nei disegni successivi si può notare sempre una maggiore difficoltà a rendere visivamente la propria esperienza di fantasia guidata, forse anche dovuta alla difficoltà a vivere con l'immaginazione storie più complesse.

Il suggerimento a sperimentare con i cinque sensi la situazione nel pianeta sconosciuto è stata recepita in misura variabile dai bambini. Sicuramente la vivacità dei colori e la ricchezza dei particolari nella maggior parte dei disegni testimonia un notevole coinvolgimento visivo. L'altro senso che sembra essere stato coinvolto è il gusto, in quanto parecchi bambini hanno immaginato di assaggiare cibi alieni (vedi disegno N.1). Olfatto, tatto e udito sembrano meno presenti ma non si può escludere che facessero parte dell'esperienza di alcuni dei bambini ma che non abbiano trovato adeguata rappresentazione nei disegni.

Nonostante l'argomento non fosse specificamente teso ad evocare stati d'animo, questi emergono comunque più o meno evidentemente quando si chiede di immaginare l'abitante del pianeta esplorato. Quello che rappresenta "l'altro" viene così di volta in volta disegnato come un mostro (disegno N.4), un alieno, un animale o, più spesso, viene sostituito con l'incontro, forse meno inquietante, con qualche compagno di classe, o ancora con un personaggio dei videogiochi (disegno N.3). Quello che è descritto come il momento della socializzazione con l'abitante del pianeta viene scambiato con l'occasione di incontrare nello spazio le amiche di scuola, o la bambina del cuore, o anche la classe intera.

Piuttosto emblematicamente, come commentiamo anche con la maestra, solo tre bambini non rappresentano nel disegno nessun altro essere vivente oltre loro stessi, nonostante nell'immaginazione guidata sia espressamente suggerito di farlo.

 I bambini sono Sabrina (disegno N. 2), Roberto e Marco, i primi due manifestano difficoltà di socializzazione ed apprendimento per le quali usufruiscono anche dell'insegnante di sostegno, Marco, invece è un bambino che ha difficoltà di relazione dovute ad una immagine di sé piuttosto sproporzionata, alterata dalla grande considerazione in cui lo tengono i genitori, soprattutto il padre, che forse ha delle aspettative esagerate nei suoi confronti, come la maestra mi ha spiegato. Marco è molto attratto dall'aspetto tecnico-scientifico dell'esperienza e il suo disegno evidenzia molti dettagli in questo senso, ma non recepisce il suggerimento di incontrare un abitante del pianeta e di fare varie esperienze in sua compagnia.

Rispetto al testo del primo incontro, il secondo presenta una maggiore richiesta di coinvolgimento personale. Il fatto di immaginare di essere un albero è sicuramente insolito per bambini di nove anni, anche se questi, normalmente impersonano i personaggi più disparati durante i loro giochi. Inoltre il testo prevede che ci si immedesimi partendo dall'immaginare l'ambiente circostante (dove si trova, chi c'è in quel luogo), dalle condizioni climatiche (in quale stagione siamo, c'è sole o pioggia), per arrivare alle sensazioni fisiche dell'albero, prima più esterne (sente caldo o freddo), poi sempre più interne, come lo stato della corteccia, delle fronde e delle radici, fino allo scorrere della linfa dentro di sé.

Si chiede infine, al momento di uscire dall'albero, di prendere consapevolezza dei propri sentimenti nei suoi confronti e di salutarlo nel modo che si preferisce.

L'identificazione in un oggetto diverso da sé può essere un esercizio di grande interesse per sperimentare stati d'animo ed emozioni che trovano resistenza ad essere percepite in situazione normale, una parte di sé che ha difficoltà a manifestarsi può invece riflettersi nell'elemento in cui ci si identifica e può quindi essere riconosciuta e forse anche accettata e vissuta in maniera meno minacciosa. In ogni caso l'esercizio può costituire l'occasione per sperimentare aspetti di sé meno evidenti e percepirsi con maggiore profondità.

La maggior parte dei bambini ha disegnato alberi antropomorfi, alcuni con caratteristiche emotive anche piuttosto evidenti. La componente affettiva è particolarmente emersa nel caso in cui sono presenti anche commenti e didascalie.

Lorenzo, ad esempio, scrive: "il mio albero era molto vecchio ed era una quercia. Le radici erano consumate. Io mi sentivo molto pesante e vecchio. Era un albero gigantesco! Aveva una chioma piena di foglie e senza frutti. C'era un sole caldo di primavera con un po’ di nuvole e sono stato molto bene. L'ho salutato con la mano andandomene soddisfatto" (disegno N.5). Un commento come questo denota la capacità di recepire in larghissima parte i suggerimenti dell'esperienza, e quindi una notevole capacità di mantenere l'attenzione e dirigere la propria immaginazione, nonché di osservare e commentare stati interni.

Anche il commento di Giulia è molto profondo: "Era primavera e io ero pieno di fiori. Mi sentivo osservato, ma ero felice. Le mie radici, piccole piccole, sotto terra stavano crescendo" (disegno N.8). La capacità di sintetizzare con tanta intensità la sensazione della crescita è molto interessante. Anche il commento sul saluto all'albero è singolare "L'ho salutato prendendo una sua foglia caduta e riattaccandogliela." È interessante osservare come, quando si identifica con l'albero, Giulia usa il genere maschile descrivendosi.

Alcuni disegni, anche senza commenti scritti, sono comunque piuttosto espressivi. L'albero disegnato da Roberto, il bambino che soffre di difficoltà di espressione e di un certo isolamento, è inserito in un paesaggio molto convenzionale, come praticamente tutti i suoi disegni, con una casetta, il sole, i fiori e gli uccelli a forma di "V", però l'albero perde le foglie, che cadono come gocce sul prato, sotto c'è un gatto, un elemento che compare anche in altri suoi disegni, come in quello in cui afferma che il suo più grande desiderio è, appunto, diventare un gatto. Giulia disegna un albero che piange perché, spiega sul retro del foglio, "è stato scacciato dalla fattoria" (disegno N.7).

Sempre mantenendo un atteggiamento non interpretativo nei confronti dei contenuti che possono emergere dai disegni dei bambini, sembra comunque interessante osservare che i bambini stessi, sollecitati a identificarsi come un albero o qualsiasi altro oggetto, possono manifestare parti di sé forse meno evidenti ed entrare in contatto con queste, riconoscendole come proprie. Questo può essere interessante anche nel caso dei bambini che hanno rappresentato se stessi con alberi con evidenti atteggiamenti aggressivi (vedi disegno N.6). Si potrebbe paragonare tale manifestazione al gioco della guerra o ad altre attività ludiche con armi o confronto fisico, ma queste potrebbero semplicemente avere una funzione catartica, o anche esorcizzante o apotropaica della violenza, mentre la rappresentazione di sé, identificati in un altro oggetto, potrebbe fornire una maggiore consapevolezza e riconoscimento dell'aggressività come parte di sé.

Anche nell'incontro successivo il tema dell'aggressività si è evidenziato in parecchi disegni. La fantasia guidata suggeriva di immaginare un luogo che fosse un rifugio per ognuno dei bambini, un posto in cui si potessero sentire sereni, protetti e al sicuro. Molti hanno interpretato questa indicazione con una valenza fortemente difensiva se non addirittura di offesa verso gli altri. Il rifugio è diventato il luogo da cui attaccare gli altri, spesso rappresentati, per i maschietti, dalle femmine e, nel caso solo di una bambina, dai maschi (disegno N.11). Essendo tipica di questa fascia di età una certa separazione tra i sessi, si può considerare normale l'identificazione del nemico con i bambini dell'altro sesso. Può essere comunque interessante che i bambini possano esprimere questa tensione all'interno di un'attività di rielaborazione delle proprie fantasie e non solo viverla quotidianamente nelle relazioni fra coetanei di sesso diverso.

Si può ipotizzare che il fatto di disegnarsi in atteggiamento aggressivo comporti la possibilità di osservarsi e prendere una certa consapevolezza dei propri stati d'animo più che, semplicemente, il mettere in atto tali atteggiamenti. Può essere interessante in fatto che, dato che comunque si tratta della rappresentazione di una fantasia, tutto ciò non comporta giudizi né censure e, anche se le immagini possono suscitare una certa ambivalenza, non c'è nessun sentimento che non possa essere portato alla luce, riconosciuto e accettato.

L'intenzione nel proporre la fantasia del rifugio era in realtà quella di offrire ai bambini un'immagine rassicurante a cui poter ricorrere poi anche in altri momenti. Probabilmente questo aspetto dell'esperienza ha avuto più difficoltà ad essere compreso, o almeno questo è ciò che sembra trasparire da molti disegni. Pochi bambini hanno fatto riferimento ad un legame che si potesse essere stabilito fra loro e il luogo immaginario, ma questo non esclude comunque che l'esperienza non abbia lasciato alcuna traccia in questo senso.

L'aspetto più interessante poteva essere per i bambini la possibilità di cercare dentro di sé, riconoscere e dare una forma al loro sentimento di sentirsi sicuri, protetti e sereni. Probabilmente il tentativo di percepire intenzionalmente delle emozioni, farne l'oggetto della propria osservazione, ampliandone la percezione per darne poi una rappresentazione figurata, non è sicuramente abituale per dei bambini di questa età, forse solo degli esercizi prolungati nel tempo potrebbero formare una capacità più permanente di auto osservazione, di comprensione e direzione della propria emotività.

L'esercizio dava anche la possibilità di invitare qualcuno nel proprio rifugio, di farlo quindi partecipe della propria sicurezza e intimità. Parecchi bambini hanno rappresentato il loro rifugio con uno o più amici (vedi disegno N.10), alcuni hanno scelto animaletti vari, solo pochi hanno scelto di stare da soli: Giulia, il cui rifugio era una bottiglia all'interno della quale, ha specificato, non poteva essere vista (disegno N.9), Fabio, in una casetta su un albero, e Roberto, Sabrina e Marco, i tre bambini che anche nella fantasia del pianeta non avevano incontrato nessuno.

Il fatto di poter scegliere, anche solo nella fantasia, di includere o meno qualcuno nel proprio rifugio, permette una riflessione su chi i bambini sentono più vicino e adatto a partecipare della loro serenità e sarebbe stato uno spunto interessante per un interscambio successivo all'esperienza.

L'immaginazione guidata del quarto incontro è stata probabilmente l'esperienza più elaborata delle cinque proposte.

I bambini erano chiamati a dare un'immagine a paure, aspirazioni, immagine di sé e progetti per il futuro e a racchiudere tutto ciò in una sorta di emblema, uno "scudo", a simbolo di loro stessi e di ciò che li rappresenta di più.

Il compito è stato arduo, soprattutto perché i bambini non avevano avuto il tempo di assimilare a fondo questo tipo di esercizi e, in soli tre incontri, non avevano avuto modo di acquisire le abilità necessarie. Soprattutto il controllo della propria immaginazione era ancora molto poco esercitata e mantenere l'attenzione concentrata sui vari passi della fantasia guidata è stato per loro molto difficile. Alcuni bambini hanno detto poi che, mentre immaginavano, erano addirittura già preoccupati di come rendere tutto quello in un disegno.

Questo è stato in effetti il secondo grosso ostacolo, la traduzione in immagini della loro esperienza è stato questa volta particolarmente laborioso, ma, forse proprio per questo, i bambini hanno avuto per la prima volta la sensazione chiara di cosa significhi tradurre in maniera simbolico-figurata una realtà interna.

Credo comunque che, nonostante le difficoltà incontrate, i bambini siano rimasti affascinati da questo esercizio, erano molto coinvolti nella elaborazione dei disegni, mi hanno tempestato di richieste di suggerimenti e chiarimenti su come rendere meglio le loro fantasie e perfino all'incontro successivo parlavano ancora dei temi trattati in questa esperienza.

Più che nelle esperienze precedenti, l'elaborazione successiva a questa fantasia guidata richiedeva l'utilizzo del linguaggio analogico e simbolico per tradurre non più solo fatti accompagnati eventualmente da emozioni, bensì realtà interne come le aspirazioni, la soddisfazione di sé, la paura, i progetti per il futuro, una richiesta sicuramente non abituale per bambini di questa fascia di età.

Bisogna tenere presente che le attività di formazione e apprendimento che impegnano normalmente i bambini hanno a che vedere principalmente con razionalizzazione, logica, memoria, analisi, tutte abilità a cui presiede principalmente l'emisfero sinistro del cervello. Prendendo infatti in considerazione le competenze che i bambini sono chiamati ad acquisire durante la loro formazione scolastica, possiamo notare una preponderanza di funzioni che dipendono dall'emisfero genericamente definito come più razionale. I programmi scolastici prevedono che si memorizzino molti fatti, nozioni e concetti, che si esercitino la logica per assimilarli e le capacità linguistiche per esporli durante interrogazioni e verifiche. La materie scientifiche sono ovviamente già di per sé legate alle funzioni dell'emisfero sinistro, ma anche gran parte di quelle letterarie tendono ad essere svolte in base a schemi, logiche e concettualizzazioni tipiche di questa parte del cervello. La lingua italiana che potrebbe costituire, con l'approccio alla letteratura, un'attivazione delle categorizzazioni, delle visioni d'insieme, dell'uso delle analogie, delle metafore e del simbolo tipiche dell'emisfero destro, viene spesso proposta come lingua da analizzare, scomporre nelle sue parti grammaticali e logiche, ad ogni parola è attribuita una funzione in base ad uno schema prefissato ed è primariamente all'utilizzo corretto delle forme linguistiche che si bada nella valutazione di un elaborato scritto, un po’ meno al contenuto come frutto delle capacità del bambino di esprimere il suo mondo interno in modo profondo ed efficace.

Persino la poesia, che potrebbe costituire uno dei migliori stimoli per educare i bambini alla traduzione in un linguaggio metaforico e figurato dell'esperienza umana, viene spesso proposta nella sua versione in prosa, nello studio della metrica, nell'acquisizione di nozioni sul suo autore e sulla corrente letteraria di appartenenza. Questa "vivisezione" dell'espressione analogico-metaforica sicuramente non contribuisce a fare acquisire tale tipo di linguaggio nel repertorio comunicativo del bambino, bensì conferma l'unilateralità e la parzialità della sua formazione.

Persino le attività artistiche sono spesso imbrigliate in schemi che prevedono cosa e come sia giusto disegnare limitando così la creatività e le competenze spaziali dei bambini.

Sicuramente la sensibilità e il sincero sforzo di molti insegnanti tende a mitigare questa unilateralità e a proporre approcci di apprendimento più globali, anche se probabilmente i programmi a cui il corpo insegnante si deve attenere non prevedono specificamente attività in questo senso.

Questa lunga digressione sulla preponderanza dell'utilizzo dell'emisfero sinistro nell'apprendimento scolastico può forse rendere conto del disorientamento dei bambini quando si sono trovati a dover disegnare qualcosa che rappresentasse le loro qualità, le loro paure, i loro sogni per il futuro e come avrebbero potuto realizzarli.

Per quanto riguarda l'aspetto di loro stessi di cui si sentivano più orgogliosi, molti bambini, ben quattordici su venti, hanno preso in considerazione la propria abilità sportiva. In questo caso è stato piuttosto facile rappresentarla, è stato sufficiente disegnare pattini, piscine, palloni o campi da calcio e l'idea era perfettamente resa (vedi disegno N.12). Più difficile è stato il compito per i sei bambini che si sono identificati con qualità più astratte. Alessandro, che sente di essere un bambino che socializza molto ed è orgoglioso di avere molti amici, si è disegnato in loro compagnia, Giulia ha scritto sul retro del disegno che il fiore rappresenta la sua bravura a scuola (disegno N.14), Valentina ha disegnato un cuore, Teresa ha disegnato un animale e poi ha specificato che questo rappresenta "il bene che so dare e poi l'aiuto che do alla natura e alla mia famiglia"(disegno N.15), Giulia S. ha disegnato una croce rosa e ha scritto sotto "salvamondo", Sara, infine, ha disegnato una sedia ma non mi ha voluto spiegare a cosa si riferisse.

Soltanto Roberto, come ho già accennato nel breve resoconto del quarto incontro, ha incontrato grosse difficoltà, non tanto nel rappresentare, quanto proprio nell'identificare una sua qualsiasi caratteristica positiva. Quando mi sono resa conto che lo spazio della qualità nell'emblema era lasciato in bianco, ho immaginato che avesse difficoltà a trovare un'immagine adeguata e ho chiesto cosa intendesse rappresentare, ma a Roberto sembrava addirittura sfuggire il concetto di qualità. Ho suggerito se si considerava particolarmente buono, o affettuoso, o capace di fare qualcosa in particolare. Solo il suggerimento della compagna di banco lo ha poi convinto, anche se non del tutto, ed è sembrato che si rassegnasse a rappresentare la sua bravura nel gioco del calcio, quasi solo per adeguarsi agli altri.

Un indicatore così significativo di mancanza di autostima è da prendere in considerazione e forse, in casi come questo, sarebbe molto utile la parte di interscambio tra i bambini che è stata carente nell'esperienza da me proposta.

 L'interscambio di opinioni, emozioni, riflessioni dopo l'esperienza, potrebbe facilitare atteggiamenti di maggiore apertura sia nei bambini che, come Roberto, hanno particolari problemi, sia in quelli che non ne hanno e che potrebbero invece sperimentare comprensione ed empatia per gli altri .

Se il tema della qualità ha potuto essere rappresentato con relativa originalità, quello della paura ha dato luogo a disegni un po’ più stereotipati.

In alcuni casi i timori erano semplici da rappresentare, Simona ha disegnato la pagella con un punto interrogativo, Valentina una torta che le ha scatenato un'allergia e Silvestro si è disegnato davanti alla porta del campo di calcio mentre tirano un rigore (disegno N.12). Praticamente tutti gli altri bambini hanno disegnato temporali, terremoti, ladri e coltelli, non si capisce bene se perché ne hanno veramente paura, se queste immagini sono prese a simbolo dei loro veri timori, oppure se, più semplicemente, non sono riusciti a riconoscere una loro paura e si sono adeguati a ciò che altri disegnavano.

Giulia P. è l'unica che spiega chiaramente che il temporale che ha disegnato è, in realtà, "la mia paura per una guerra" mostrando così di essere consapevole di usare un immagine per significarne un'altra con la quale presenta analogie (disegno N.14).

 La rappresentazione di ciò che costituisce la maggiore aspirazione per il futuro ha offerto spunti di maggiore originalità ma è stata anche molto più laboriosa.

Finché si è trattato di traguardi in campo sportivo i disegni sono stati piuttosto semplici da realizzare. Anche altri obiettivi di ordine materiale sono stati facilmente rappresentati: castelli, case con cavalli, vacanze in tenda con le amiche, casette sugli alberi, apparati elettronici, così pure il desiderio di diventare pompiere, medico o addirittura un gatto. I desideri più astratti hanno richiesto uno sforzo maggiore o anche una spiegazione scritta. Per Teresa, ad esempio, "la nuvola rappresenta la gioia della vita, cioè che tutta la mia famiglia sta bene" (disegno N.15), oppure per Alessandro che disegna dei castelli di sabbia per significare il suo desiderio di costruire cose (disegno N.13), Valentina disegna una colomba come simbolo di pace, Sara un grosso quadrato e per dire che desidera diventare grande, Giulia, che vuole incontrare un angelo, ne disegna uno, Simona rinuncia a disegnare e scrive che il suo desiderio è che non ci siano più guerre o violenze.

Successivamente, i bambini si sono impegnati nella rappresentazione del modo per realizzare quelli che erano i propri sogni, e questa è stata forse la parte più difficile dell'esercizio. In effetti, se già la prima parte della fantasia guidata aveva richiesto ai bambini un certo sforzo di introspezione, questa ultima implicava una sorta di proiezione verso il futuro, una ricerca nell'ambito delle proprie risorse, per configurare il mezzo attraverso il quale realizzare i propri desideri.

Questo potrebbe essere un atteggiamento interessante da sviluppare anche per quanto riguarda obiettivi molto più quotidiani e concreti. Come già accennato nel capitolo di introduzione della tecnica di immaginazione guidata, infatti, soprattutto in base alla sperimentazione effettuata negli Stati Uniti, sembrerebbe emergere la possibilità di facilitare il conseguimento di obiettivi scolastici, sportivi o personali attraverso esercizi di immaginazione dei passi necessari per l'acquisizione delle abilità richieste. Questo fare appello mentalmente alle proprie risorse prima di agire può fornire ai bambini un ulteriore strumento per la loro crescita e ampliare la fiducia nelle loro capacità.

Nel caso dell'esercizio proposto l'obiettivo da realizzare era costituito dal proprio maggiore desiderio per il futuro, poteva quindi sfuggire dall'ambito del quotidiano e del concreto ma, forse proprio per la sua dimensione ideale, poteva suggerire ai bambini una sorta di atteggiamento attivo rispetto alle proprie aspirazioni, creativo nei confronti della realtà.

Anche in questo caso, oltre ai bambini che hanno disegnato le loro possibilità di migliorare le prestazioni sportive, ci sono stati alcuni che hanno cercato di rendere in forma simbolica l'atteggiamento necessario alla realizzazione del loro desiderio. Alessandro ha disegnato uno scoiattolo perché per lui rappresenta la laboriosità e la capacità di costruire (disegno N.13), altri hanno disegnato strumenti di lavoro, Sara ha disegnato un cuore. Più di un bambino ha disegnato un angelo e Roberto una bacchetta magica. Forse in questi casi la realizzazione del desiderio è percepita come al di sopra delle proprie possibilità, o si tratta di un sogno irrealizzabile (come il voler diventare un gatto di Roberto), e quindi si fa appello al magico o al soprannaturale.

La realizzazione di questo emblema o "scudo" in cui erano compresi qualità, paure, desideri e risorse personali ha molto coinvolto i bambini, che sembravano manifestare un attaccamento maggiore a questo disegno piuttosto che agli altri, così ho assicurato che avrei restituito loro i cartoncini appena terminato il mio lavoro su di essi.

Il quinto e ultimo incontro ha risentito sensibilmente dell'atmosfera di festa e di saluti già descritta nel resoconto precedente, così ha forse assunto una valenza più affettivo-relazionale che cognitiva e relativa alla sperimentazione della fantasia guidata.

Avevo scelto un testo in cui è presente una figura molto usata anche in miti, fiabe e letteratura, quella cioè di una guida, un essere saggio in grado di aiutare e consigliare.

L'immaginare un essere che ispira grande fiducia, avere la possibilità di interrogarlo su una tematica significativa e lasciare che si esprima su di noi può mettere in atto una interessante dinamica di dialogo con se stessi. Ciò che l'alleato interno dirà e risponderà sarà quanto noi stessi potremmo dirci e risponderci facendo appello a risorse interne delle quali potremmo non essere pienamente a conoscenza. Immaginando l'essere saggio parlare, le sue parole saranno comunque le nostre, solo che in altre condizioni potrebbero non essere affiorate, si è creata la condizione per attingere a potenzialità forse non del tutto esplorate o di cui non si ha piena consapevolezza. Questa sostanziale identità tra il soggetto e l'alleato interno è ben sostenuta nella fantasia guidata quando si suggerisce di specchiarsi nel ruscello e lì, proprio accanto al proprio volto, si scorge quello della propria guida, una sorta di immagine riflessa di una parte di sé con la quale entrare in contatto.

Il regalo che l'alleato interno offre al momento di congedare è una variante che ho introdotto al testo della Murdock prendendolo da uno script analogo di Hall. Era mia intenzione lasciare simbolicamente qualcosa ai bambini e, nello stesso tempo, stabilire una sorta di legame con loro. Da una parte speravo che la fantasia che stavo proponendo potesse costituire la scoperta di un accesso privilegiato alle proprie risorse interne attraverso una immagine guida di riferimento, ho tentato quindi di suggerire un legame fra i bambini e l'alleato interno con il dono che questo offre loro alla fine, una sorta di pegno, di oggetto carico di potere, con il quale sintetizzare il ricordo dell'esperienza. D'altra parte credo che il dono significasse anche per me qualcosa, una sorta di congedo dai bambini e il mio desiderio di non essere dimenticata.

Molti bambini sono sembrati sensibili a questo aspetto dell'immaginazione, Fabio si disegna mentre si allontana dal castello di un mago con una moneta in mano (disegno N.17), Marco V. , il bambino che ha qualche problema con l'immagine sproporzionata di sé, si disegna su un podio con una medaglia al collo che uno gnomo gli ha donato, Giulia S. scrive di aver ricevuto da un albero la sua unica foglia, a Vera una strana vecchia saggia con le ali ha regalato delle chiavi, Simona ha ricevuto del cibo particolare, Stefano un orologio, Silvestro delle armi speciali, Teresa un diamante luminoso, Valentina uno scettro con un cuore blu.

In particolare Giulia P. e Simone sembrano aver sentito il dono come un legame, infatti entrambi hanno disegnato un oggetto diviso in due. Per Giulia si tratta di un ciondolo a forma di cuore, è spezzato e appeso ad un laccio, glielo ha donato un'aquila, infatti sul cuore è scritto il nome dell'aquila a metà (disegno N.16). Simone, invece, ha immaginato una bella ragazza che gli ha dato un medaglione spezzato in due con il suo ritratto da un lato (disegno N.18). È interessante anche questa identificazione dell'alleato interno con una sorta di ideale femminile, forse una manifestazione della parte femminile di sé, oppure un'aspirazione all'elemento complementare del proprio sesso, comunque un'associazione già nota, che ricorre più volte in letteratura, nel mito e nella fiaba, una sorta di Beatrice per Dante, o la fatina di Pinocchio.

Per quanto riguarda la parte del dialogo fra ogni bambino e il suo alleato interno, quasi nessuno lo ha menzionato nei commenti al disegno, tranne Teresa che ha scritto di avere chiesto e ottenuto protezione per la sua famiglia da parte della fata.

Probabilmente l'attivazione di un meccanismo di domanda e risposta interni è ancora un po’ prematuro per i bambini, forse hanno bisogno di un maggiore dominio della tecnica, con la possibilità di rimanere rilassati e tuttavia vigili, non scendere troppo di livello di veglia e mantenere costante l'attenzione sulle immagini proposte; questo è possibile che si possa ottenere in un arco di tempo maggiore e potrebbe essere interessante sperimentarlo.

I commenti ai disegni dei bambini sono volutamente limitati a quanto è sembrato di maggiore evidenza per evitare una forma di interpretazione eccessiva e forse frutto di proiezioni personali. L'interesse era esclusivamente volto a valutare l'impatto della fantasia guidata sui bambini e il loro grado di coinvolgimento con questa.

I disegni sono ovviamente utilizzabili per analisi più approfondite che però probabilmente esulano dagli scopi dell'elaborato.

CAPITOLO VII

Conclusione

La motivazione che maggiormente ha guidato la stesura di questo elaborato è scaturita dalla convinzione che della consapevolezza della relazione esistente tra immagini mentali ed emozioni, così ricca di conseguenze e implicazioni per la vita di ognuno, non si trovi un adeguato riscontro nel comportamento della maggior parte delle persone.

L'esigenza di individuare e sperimentare forme di sviluppo di tale consapevolezza che fossero inseribili all'interno dei processi educativi ha orientato la ricerca verso le tecniche di immaginazione guidata, come esperienza di semplice attuabilità e facilmente fruibile per bambini o adolescenti.

I due unici testi reperiti sulla fantasia guidata, all'interno delle scuole negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, hanno fornito la base per ipotizzare un intervento di quel tipo anche in una classe elementare di Maccarese, presso Roma. Le due monografie hanno costituito inoltre lo spunto per ampliare ed approfondire l'interesse originario riguardante la presa di coscienza delle dinamiche immaginative ed emotive.

Il linguaggio analogico, attraverso il quale l'affettività meglio si esprime, ha costituito quindi uno dei percorsi privilegiati all'interno dell'elaborato. Si sono evidenziate, in questo contesto, anche le potenzialità di trasformazione emotiva delle immagini mentali, e quindi la loro valenza terapeutica. Questo approfondimento ha rafforzato la convinzione che la corretta relazione col proprio mondo dell'immaginario sia fondamentale per accedere alla "stanza dei bottoni" delle proprie emozioni, e quindi per un sano sviluppo della personalità.

La necessità di indagare maggiormente sulle competenze emotive ha guidato la ricerca verso gli studi sulla molteplicità dell'intelligenza. Questo punto di vista sembrerebbe confermare che competenze come quella spaziale, quella interpersonale e intrapersonale meritano di essere riconsiderate e correttamente collocate nel curricolo educativo e, viste le attinenze con i processi e le dinamiche attivati dalla fantasia guidata, si può anche supporre che questa possa offrire un contributo in questo senso.

Una rilevanza particolare assume, in quest'ottica, il ruolo dell'affettività sia nei processi di apprendimento che nella costruzione di modelli comportamentali moralmente e socialmente validi. Questo punto di vista ha orientato la ricerca verso gli studi che tendono a confermare la necessità di ampliare gli obiettivi educativi a comprendere anche la formazione emotiva dei bambini e anche all'interno di un tale processo di rinnovamento si può ipotizzare il contributo dell'immaginazione guidata.

L'insieme delle riflessioni che sono scaturite dall'ipotesi di utilizzo della fantasia guidata nella scuola è stato forse troppo ampio e generico per poter trovare una sua conferma o meno all'interno della ricerca sul campo effettuata con i bambini della scuola elementare Marchiafava.

L'esperienza non ha concesso di fornire certezze sulle possibilità dell'immaginazione guidata di insegnare ai bambini a prendere contatto con le proprie immagini, con le emozioni che vi sono collegate, ad esprimere questo loro mondo interno e a comunicarlo agli altri con un linguaggio ricco e significativo. Nonostante i limiti all'interno dei quali è stata effettuata, la ricerca ha comunque fornito, con i disegni e i commenti dei bambini, la misura del loro coinvolgimento e del loro interesse. Non ci sono motivi per supporre che un progetto di più ampio respiro non possa fornire dati più attendibili, soprattutto per quanto riguarda le possibilità di sviluppo delle competenze interpersonali, dando maggiori possibilità ai bambini di interagire gli uni con gli altri sulle loro esperienze.

Il percorso per ottenere risultati e conferme è probabilmente ancora molto lungo, ma è anche proporzionato all'ambizione dell'obiettivo di giungere ad insegnare, oltre alla storia e alla matematica, anche la consapevolezza del proprio mondo interno e il linguaggio per comunicarlo e per tradurlo in esperienze significative. Un obiettivo che costituisce una difficile sfida per il sistema scolastico, ma che probabilmente nessun progetto educativo può più permettersi di ignorare.


[1] Oaklander V. (1978), Windows to Our Children, Moab, Utah, Real People Press. La citazione è estratta a sua volta dal testo Apprendere la fantasia di E. Hall a pag. 43.

[2] Hall E., Hall C. & Leech A. (1993), Apprendere la fantasia. L'immaginazione guidata nella classe. Ed. Centro Studi Erickson, Trento, pag. 44.

[3] Murdock M. (1989), L'immaginazione guidata con i bambini e gli adolescenti. Esercizi e tecniche per l'apprendimento, la creatività e il rilassamento. Astrolabio, Ubaldini Ed., Roma, pag. 93.

[4] Hall E., op. cit., pag. 60.

[5] Hall E., op. cit., pag. 89.

[6] Hall E., op. cit., pag. 95.

[7] Hall E., op. cit., pag. 99.

[8] Jung C. G., (1961), Memories, Dreams and Reflections, Random House, New York. La citazione è tratta a sua volta dal testo di Hall a pag. 103.

[9] Come, ad esempio, nel testo "Riparare il corpo" in Hall E., op. cit., pag. 135.

[10] In questo caso ci si può riferire allo script "Il vulcano", a pag. 147, sempre nel testo di Hall.

[11] Hall E., op. cit., pag. 21.

[12] Bandler R. & Grinder J., (1980), La metamorfosi terapeutica; principi di Programmazione Neurolinguistica, Astrolabio, Roma. 

[13] Murdock M., op. cit., pag. 66.

[14] Osrtander S. & Schroeder L., (1979), Superlearning, Delacorte, New York, pag. 159.

[15] Murdock M., op. cit., pag. 69.

[16] Murdock M., op. cit., pag. 77.

[17] Murdock M., op. cit., pag. 93.

[18] Ibid.

[19] Watzlawick P. (1980), Il linguaggio del cambiamento, Feltrinelli Ed., Milano, pag. 23.

[20] Wigan A. (1844), A New View of Insanity. The Duality of the mind, Longman, London. Citato in Watzlawick P., op. cit., pag. 27.

[21] Rossi E. (1987), La psicobiologia della guarigione psicofisica, Astrolabio, Ubaldini Ed., Roma, pag. 46. 

[22] Fromm E. (1982), Il linguaggio dimenticato, Bompiani Ed., Milano, pag. 13.

[23] Fromm E., op. cit., pag. 12.

[24] Freud S. (1976), Psicoanalisi. Esposizione divulgativa in cinque conferenze, Newton Compton, Roma, pag. 62.

[25] Rocci G. (1996), Jung. Il sacro e l'anima, Edizioni Messaggero, Padova, pag. 54.

[26] Jung C. G. (1991), L'uomo e i suoi simboli, Longanesi, Milano, pag. 32.

[27] Mecacci l. (1992), Storia della psicologia del Novecento, Laterza Ed., Bari, pag. 147.

[28] Jung C. G., op. cit., pag. 52.

[29] Fromm E., op. cit., pag. 21.

[30] Campbell J. (2000), L'eroe dai mille volti, Guanda, arma, pag. 17.

[31] Campbell J., op. cit., pag. 41.

[32]14 Campbell J., op. cit., pag. 229.

[33] Pacciolla A. (1991), La comunicazione metaforica, Edizioni Borla, Roma, pag. 25.

[34] Campbell J., op. cit., pag. 40.

[35] Santagostino P. (a cura), (1987), "Curarsi con le fiabe", Riza Scienze,N.17, numero monografico.

[36] Propp V. J. (1966), Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino.

[37] Pacciolla A., op. cit., pag. 112.

[38] Bettelheim B. (1977), Il mondo incantato, Feltrinelli Ed., Milano, pag. 28.

[39] Bettelheim B., op. cit., pag. 29.

[40] Varano M. (1998), Guarire con le fiabe, Melteni Ed., Roma, pag. 9.

[41] La citazione è tratta dal commento di Katharina Mommsen La chiave smarrita,alla Favola di Goethe, (1990), Adelphi, Milano, pag. 76.

[42] Pacciolla A. op. cit., pag. 14.

[43] Pacciolla A. op. cit., pag. 15.

[44] Briosi S. (1985), Il senso della metafora, Ed. Liguori, Napoli.

[45] Rondot F. - Varano M. (1990), Come si inventano le fiabe, Ed. Sonda, Milano, pag. 38.

[46] Ricoeur P. (1975), La Métaphore Vive, Parigi, trad. it. (1978), La metafora viva, Milano. 

[47] Rondot F. - Varano M. op. cit., pag. 40.

[48] Pacciolla A. op. cit., pag. 115.

[49] Hillman J. (1983), Healing Fiction, trad. it. (1984), Le storie che curano. Freud, Jung, Adler, Raffaello Cortina Ed., Milano, pag. 45.

[50] Hillman J. op. cit., pag. 96.

[51] Hillman J. op. cit., pag. 103.

[52] Happich C. (1932), Das Bildbewusstein als Ansatzstelle psychischer Behandlung, in "Zentreblatt Psychotherapie", vol. 5. Citato in Hall, op. cit., pag.143.

[53] Caslant E. (1921), Méthode de Developpement des Facultés Supranormales, Edition Rhea, Paris. Citato in Hall, op. cit., pag. 143.

[54] Desoille R. (1974), Teoria e pratica del sogno da svegli guidato, Astrolabio, Roma.

[55] Leuner H. (1969), Guided Affective Imaginery. A Method of Intensive Therapy, in "American Journal of Psychotherapy", vol. 23. Citato in Hall, op. cit., pag. 144.

[56] Assagioli R. (1965), Psychosyntesis: A Manual of Principles and Techniques, Hobbs Dorman, New York.

[57] Ferrucci P. (1982), What We May Be, Wellingborough, Turnstone. Citato in Hall, pag.144.

[58] Bandler R. - Grinder J. (1983), La ristrutturazione. La programmazione neurolinguistica e la trasformazione del significato, Astrolabio Ed. Ubaldini, Roma.

[59] Thurstone L. L. (1938), Primary Mental Abilities, "Psychometric Monograph, N.1, University of Chicago Press, Chicago. Citato a sua volta da Gardner nel suo "Forme Mentis" a pag. 195.

[60] Arnheim R. (1969), Visual Thinking, University of California Press, Berkeley; trad. it. (1974), Il pensiero visivo, Einaudi, Torino. Anche questo autore è citato da Gardner a pag. 197 della sua opera.

[61] Gardner H. (1983), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza. Feltrinelli, Milano, pag. 260.

[62] Gardner H., op. cit., pag. 262.

[63] Gardner H., op. cit., pag. 275.

[64] Bloom B. S. (1979), Caratteristiche umane e apprendimento scolastico, Armando, Roma.

[65] Salzberger-Wittenberg I. et al. (1987), L'esperienza emotiva nei processi di insegnamento e di apprendimento, Liguori Ed., Napoli, pag. 100.

[66] Blandino G. - Granieri B. (1995), La disponibilità ad apprendere, Raffaello Cortina Editore, Milano, pag. 19.

[67] Winnicot D. W. Trad. it. (1970), Sviluppo affettivo e ambiente. Studi sulla teoria dello sviluppo affettivo, Armando, Roma.

[68] Goleman D. (1995), Emotional Intelligence; trad. it. (1997), Intelligenza emotiva, RCS Libri S.p.A., Milano.

[69] Rossi B. (2002), Pedagogia degli affetti, Laterza, Bari. pag. 9.

[70] Rossi B., op. cit., pag. 41.

[71] Rossi B., op. cit., pag. 52. 

[72] Murdock M. op. cit., pag.88.

[73] Hall E. op. cit., pag.110.

[74] Murdock M. op. cit., pag. 151.

[75] Murdock M. op. cit., pag. 101.

[76] M urdock M. op. cit., pag. 98.